domenica 31 luglio 2016

Un anno fa a quest'ora

In questi giorni si sta compiendo il giro di boa di un anno a Tours. Se mi guardo indietro, mi sembra una vita fa. Se mi guardo davanti, è volato.
Questi giorni mi fanno ripensare ai loro corrispondenti del 2015: intensi, col batticuore, pieni di pensieri e gesti dal sapore de "l'ultima volta che". Giorni di riflessioni, birre con gli amici, corse, telefonate, qualche lacrima, nell'estate di Milano. L'energia ritrovata. Il tempo correva e per fortuna non ce n'era abbastanza per fermarsi a pensare alla domanda sempre latente "Ma cosa sto facendo?", per lasciarsi andare allo sconforto che accompagna le separazioni. Il segreto per andare avanti dritta nel progetto era di immaginare che tutto ciò non stesse succedendo a me.
E poi con l'arrivo a Tours finalmente un po' di calma: la ricerca dei punti di riferimento, le scoperte, nuove immagini, pensieri e gesti col sapore de "la prima volta che". Mi sentivo al cinema, vivevo con la curiosità e il piacere della novità, ma consapevole di essere nel punto d'innesco di piccoli meccanismi che un giorno sarebbero diventati una nuova routine.
Mi sentivo in vacanza.

Oggi quei giorni sono diventati una sequenza di bei ricordi. Mi trovo a guardare il calendario ripensando a quello che è successo un anno fa, e cullo un po' ogni ricordo rivivendolo.

Un anno fa a quest'ora stavo salutando i cari colleghi di Agrate, dopo 9 anni insieme, con un trolley pieno di focaccia.
Un anno fa a quest'ora stavo facendo la festa con i miei amici e mia sorella alla Cascina Martesana.
Un anno fa a quest'ora preparavo la casa per gli ospiti Airbnb che l'avrebbero usata ad agosto, e in contemporanea il primo pezzo di trasloco con la Y, scegliendo con difficoltà tra i miei averi un sottoinsieme di cose utili da portare per stare il primo mese a Tours.
Un anno fa a quest'ora ero in macchina con Terry, i bagagli e i miagolii delle micie ad affrontare il Frejus e un nuovo inizio.
Un anno fa a quest'ora bevevo la mia prima birretta alla Guinguette.
Un anno fa a quest'ora entravo in ST agitata, a conoscere i miei nuovi colleghi e le loro amene abitudini francesi con gli stuzzicadenti, dando cento strette di mano ma le uniche per me sensate.

Oggi questi pensieri mi fanno sorridere e riflettere. Sono molto contenta di come sono andate le cose, c'è una piccola punta di tristezza che non è nostalgia, nonostante sia più lontana dalla mia famiglia e dai miei amici, nonostante non viva più nella casa che è stata la mia prima casa. Ora non vorrei essere in un altro posto, ma se ci fossi penso che ci starei bene. È come se avessi vissuto la fine naturale di un periodo, 20 anni a Milano, cifra tonda. Non è arrivata troppo presto, forse nemmeno troppo tardi, mi sembra che sia stato un passaggio piuttosto equilibrato.

Domani prenoto alla boulangerie un sacchetto di mini pains au chocolat e croissants per festeggiare con i colleghi il 3 agosto, primo giorno di lavoro. Ce ne stanno 50 nello zainetto, così faccio tutti contenti e posso andare in bicicletta.
Ed è bellissimo: mi sento ancora in vacanza!

lunedì 25 luglio 2016

Integrazione in salsa francese

Frédéric me l'aveva detto diversi mesi fa, quando - appena conosciuto - gli raccontavo della piccola frustrazione di non aver ancora socializzato con i francesi, nemmeno con i colleghi. Non un aperitivo, non un invito a casa, non un numero di telefono. In fondo potrei fare pena a qualcuno, essendo arrivata qui da sola e senza conoscere nessuno. Invece no: tanti sorrisi e grande gentilezza, tanti complimenti all'Italia il "Paese del sole", e poi finito l'orario di lavoro i colleghi francesi tornano a casa loro. Grazie alla politica di sostegno alla famiglia, avere moglie, marito e figli è la regola e immagino che molti rientrino punto e basta; ma certamente talvolta dopo alcuni giri, perché qui a Tours vedo bar e ristoranti pieni, alla gente piace stare fuori.
Frédéric ad oggi resta l'unico francese che frequento. Poi c'è l'unica francese che frequento, Marjolaine, anche lei che come Frédéric e come vi ho già raccontato ha vissuto diversi anni all'estero.
Frédéric mesi fa mi diceva che è normale, in ambiente lavorativo, iniziare a socializzare con i colleghi dopo circa un anno. Per me era follia: un aperitivo lo si concede anche ad uno sconosciuto nemmeno troppo simpatico, ad un nuovo cliente, ad un collega appena arrivato. I bar sono pieni, ve lo giuro, e non sono tutti amici di vecchia data.
Come dicevo a Nicola - che sta affrontando l'integrazione in salsa belga - nonostante gli zero inviti, in questi mesi con i francesi ho continuato a fare l'italiana simpatica. Mi viene abbastanza spontaneo socializzare; al lavoro però è anche molto utile perché, come ad Agrate, ci sono mille funzioni diverse e per lavorare ho quotidianamente bisogno dell'appoggio di altre persone che mi aggiornano programmi, mi spiegano procedure, mi aggiustano le questioni burocratiche, mi approvano cambi di processo, partecipano alle mie riunioni. Avere buone relazioni è veramente molto utile e molto importante.

Mi stavo rassegnando a questa situazione, tanto a me mica mancano gli amici: italiani e spagnoli. Eppure un paio di mesi fa successe qualcosa.
Era un periodo che andavo in continuazione dal gruppo che gestisce Workstream perché dovevo fare una cosa complessa che non sapevo neanche spiegare. Per gli addetti ai lavori: assomigliava a creare un prodotto di zavorre con una maschera e altre operazioni tra cui la mia, la deposizione del rame, e con una route di riciclo per rimuovere il resist e il rame e ricominciare daccapo. Così complesso che anche sulla sintassi della frase di spiegazione ho dei dubbi! Inoltre la maschera da usare era uguale a quella usata dai lotti di produzione, ma non gestibile allo stesso modo perché qualcuno ha stabilito la regola per la quale le zavorre non possono avere le stesse operazioni dei lotti veri.... insomma, un macello.
Quindi io per un buon periodo sono andata nell'ufficio di Stéphane, Bruno, Dany, Eric e Alex quasi tutti i giorni per questo progetto. Ogni volta senza capire molto di quello che succedeva, ma ci dovevo essere.
Questo gruppo è abbastanza scherzaiolo al suo interno, da loro si percepisce un'atmosfera distesa. Solo tra me e Stéphane non la percepivo, dato che gli ho rotto le scatole taaante volte, e ho fatto taaanti errori con il suo TQManager - ottusa applicazione con cui pretendono di programmare i test sulle attrezzature invece di usare Workstream: dietro immagino ci sia un motivo storico che ancora non conosco.
Tra una cosa e l'altra, in una delle mie solite permanenze da loro ad osservare muta Bruno ("Brünó") che smanetta nello script del mio prodottino, tra loro esce un discorso che riguarda la pétanque, il gioco di bocce tipico francese, giocato tipicamente nei piazzali sterrati davanti alle mairie (i municipi) dei paesini, quando fa caldo, all'ombra dei platani. Questo è il ricordo che mi rimaneva dai miei giri in Provenza durante l'Erasmus.
La pétanque mi incuriosisce e inizio a fare domande, naturalmente senza smettere di fare l'italiana simpatica. Non so se un francese avrebbe mai osato autoinvitarsi come ho praticamente fatto io, dato che qui noto un grado di discrezione che sfiora il menefreghismo. Aperta parentesi, come venerdì scorso che David, collega delle scrivanie di fronte, pur vedendomi vagare per la Cafétéria in cerca di loro, dei miei colleghi che il venerdì mattina condividono un piccolo momento di convivialità mangiando pains au chocolat e che per la prima volta avevano cambiato posto facendomi perdere le loro tracce, se n'è stato zitto adducendo poi la scusa che pensava che li avessi visti, e che per rispetto verso di me non ha tirato un urlo per chiamarmi. Ma figuriamoci!! Non ha nemmeno mosso un piede per venirmi a chiamare mentre frustratissima andavo in ufficio a prendere il telefono aziendale con cui l’ho chiamato per sapere dove si trovavano!!! Vabbe'.
Chiusa parentesi, stavo dicendo che proprio per questa estrema discrezione con cui forse si simula - se si è timidi - o si dissimula l'indifferenza, forse un francese non si sarebbe permesso di autoinvitarsi alla successiva serata di pétanque dei colleghi. Be’, senza superare i limiti - spero - come sarebbe stato se mi fossi informata sul calendario di gioco, luoghi e orari, io mi sono solo fatta promettere che mi avrebbero inclusa nel gruppo di gioco della volta successiva. Era fine maggio.

Il tempo è passato e anche le mie vacanze, finché tra le prime mail che ricevo al mio rientro ne trovo una che si intitola "Perso". Oddio, chi o che cosa si è perso? Eh no, proprio niente: con l'abbreviazione di "Personnel" Stéphane voleva indicarmi che quella non era una mail di lavoro. Quando me ne sono accorta ho avuto quasi paura: è forse vietato comunicare con i colleghi di qualcosa che non sia lavorativo? Io avrei usato un titolo parlante come "Invitation à la prochaine pétanque"!
Ebbene sì, con quella mail dal titolo sibillino che faceva molto "top secret", ma anche un testo sintetico che mi ha aumentato l’ansia, Stéphane mi chiedeva se mi andava bene giovedì 28 luglio per la pétanque. Mancavano 10 giorni: ho risposto al volo di sì, l’ho segnato sulla mia agendina di Altreconomia e ho cancellato la mail per non lasciare tracce. A parte che fanno pause caffè allucinanti di mezz’ora e chiacchierano ovunque, questi francesi nel complesso sembrano più seri degli italiani. Quindi, meglio cancellare le prove.
Arriva il giorno fatidico: riesco ad uscire alle 17 con calma, Stéphane e Bruno mi aspettano nel parcheggio in shorts - si sono già cambiati per giocare - e ce ne andiamo verso il paesino di Monnaie dove ci troviamo con Jean-Marc, Sébastien e Sylvie. La pétanque può iniziare.
Qualsiasi posto va bene, non serve un terreno per forza regolare. Inoltre dopo ogni partita si sposta il campo in avanti di un pezzetto, come per fare una passeggiata, il terreno e le irregolarità cambiano sempre. Loro sono bravi, si vede che praticano da molto; è bello vedergli centrare le bocce con una mira perfetta - non tutti, ma davvero moltissimi tiri hanno fatto centro - sentirli fare strategie, prendersi in giro, appassionarsi, impegnarsi, giocare lealmente. Stiamo parlando di un gioco di bocce, d'accordo: ma pieno di regole e regoline che l'inquadrano come vale per qualsiasi attività francese.
I miei colleghi sono anche molto carini con me che non so ancora giocare; quando mi avvicino a fare un tiro sensato, cosa che certe volte accade solo grazie alla pendenza del terreno, mi sento dire "Celle-ci n'était pas mal", questa non era male, ben sapendo che nulla è intenzionale nei miei tiri - neanche la direzione certe volte  - sottintendendo che le precedenti giocate erano più discutibili. Ma è proprio così, ho giocato da schifo ed è normale; è così che si impara, sul campo. So che esistono corsi di pétanque, ma una disciplina così popolare bisogna impararla giocando.

Dopo tre partite siamo andati da Jean-Marc e Sylvie a fare una grigliata; dopo cena siamo ancora rimasti a bere vini vari con formaggi vari, e con il digestivo i ragazzi hanno anche provato a parlare italiano. Infine dopo il dessert (il formaggio È il dessert) Stéphane mi ha riportato a Tours, che venerdì si lavora.
Bella serata, mi riinviteranno? Io ho risposto di sì quando mi hanno chiesto se sarei tornata, vedremo.
Ancora non ho il numero di telefono di nessuno, ma forse non è nemmeno così necessario, dai.

sabato 23 luglio 2016

Foto sensoriali

Non faccio molte foto durante le vacanze da un bel po' di tempo, da quando ho scoperto che non trovo - o non cerco - il tempo per riguardarle, selezionarle, riordinarle, salvarle in una directory fuori dal telefono.
Anche per questa vacanza in Cascina nessuna foto. Mi restano però dei ricordi sensoriali, immagini scattate attraverso i cinque sensi. Cinque-sei.

Il canto di svariati galli come sveglia del mattino.
Il sole delle 7 sui volti dei miei colleghi di zappa.
Sapore di albicocche raccolte da un albero che cresce nella vigna, sono tiepide.
Il peso della zappa, della terra, del sole, del lavoro.
Spighe di farro monococco mi pungono mentre le abbraccio per legarle in un covone.
Fiori ed erbacce piene di colori nel giardino inselvatichito intorno ai tavoli del pranzo.
Canto di cicale nelle ore calde a metà giornata, ad accompagnare il sonno.
La brezza che entra dalla finestra a rinfrescare i miei piedi allungati sul letto, appena tolte le scarpe da lavoro.
Uno sciame bianco di piccoli di papere e oche mi corre incontro facendo pio pio quando mi avvicino al recinto, hanno imparato che gli porto l'erba.
Piume morbide e bianche sul dorso, infangate sulla pancia.
Le mani che mi sembrano via via più grosse con il passare del tempo e delle ore nei campi.
La consapevolezza di desiderare, qui, un tempo nuvoloso.
Il pizzicotto che fa il tafano quando punge, facendo uscire gocce di sangue.
Acqua terrosa sul fondo della vasca da bagno porosa durante la doccia.
Patchwork di pelle abbronzata e non.
Lucciole nel buio lungo la strada per rientrare in casa.
Odore di solaio nella mia stanza.
Silenzio e grilli.

giovedì 7 luglio 2016

Sincronizzazione dei contenuti

Mentre io sono qui, voi siete lì. Mentre io qui, scopro come si vive in Touraine, voi che non avete (ancora, magari) cambiato casa, città, Paese, state facendo altrettanto numerose scoperte. Tante potrebbero restarsene a livello inconscio perché riguardano piccoli dettagli, o aspetti della vita quotidiana che non attirano più di tanto l'attenzione perché sembrano ormai consolidati. Come anni fa ho sentito dire in uno dei miei corsi alternativi, il cervello è selettivo e pure pigro, o piuttosto economo: tende alla condizione di equilibrio che comporta il minimo sforzo. Magari non per tutti è lo stesso, ma questa descrizione del funzionamento cerebrale calza a pennello al mio.
Il cervello reagisce a situazioni e particolari nuovi che non corrispondono immediatamente alle categorie già registrate in memoria, e così ci si accorge facilmente di una nuova pubblicità sui cartelli in città. Questo è per esempio il genere di scoperte che si fanno quotidianamente anche senza cambiare casa, città, Paese.
Queste sono le scoperte che faccio ogni volta che torno in Italia. "Ah, ma guarda, ora qui hanno aperto un bar", "C'è una nuova ciclabile in via Agordat", "Mia mamma ha cambiato le tende della cucina". Queste piccole novità mi danno il senso del tempo passato fuori di casa. Mi succedeva sempre tornando a casa a Milano dopo le vacanze, ancora con lo zaino addosso trovavo in metrò le pubblicità cambiate. Il giorno dopo già non le notavo più, mi ero sincronizzata con i piccoli cambiamenti fatti dalla città in mia assenza.

Anche le parole cambiano mentre siamo via. Se vi capita di vedere un pezzo di telegiornale degli anni settanta, con le stesse parole oggi ancora di uso comune si costruiva un linguaggio leggermente diverso. E si sente. Mi piace immaginare la successione di piccoli cambiamenti che 40 anni dopo porta a questa sensazione di leggera estraneità.
Quindi ieri non c'era da stupirsi quando mi sono accorta che Chiara, amica fiorentina che vive a Tours da 20 anni occupandosi di letteratura rinascimentale, dotata di una grande proprietà di linguaggio, non conosce la parola "metrosessuale". Questo, d'accordo, è un caso limite. Forse questa parola è nota solo a Milano, o solo a chi si occupa di Costume & Società, di Generazione X e robe varie.
Seguire le notizie italiane ci tiene sul pezzo, e così anche gli italiani di Tours dicono "Ciaone". La lingua però è in continuo movimento e per stare veramente sul pezzo "bisogna esserci", nei luoghi. Luoghi fisici, geografici. In una casa, in una città, in un Paese. A 20 sono andata a vivere a Milano, e nonostante tornassi a casa tutti i fine settimana il binario della mia vita ha cominciato a divergere. La mia quotidianità non era più con i miei genitori, mio fratello e mia sorella, con gli anni il problema della sincronizzazione si è manifestato nel non essere più sempre al corrente delle notizie dei parenti, di Cogoleto; l'università di Dario, i clienti di mia sorella praticante avvocato, i personaggi del lavoro di mia mamma e i quiz di  matematica di mio padre. Qualche pezzo mi manca, ritrovarsi a cena in famiglia tutti i giorni ha l'effetto di favorire la sincronizzazione dei vissuti.
Anche per i social vale lo stesso discorso. Certe cose addirittura succedono solo lì, non sono certo le più importanti ma fanno parte dell'orizzonte. I social sono essenziali per la sincronizzazione sui fatti importanti, sui gossip importanti, sulle vicende personali di chi ha voglia di parlarne pubblicamente.
insomma. Per mettermi in pari in generale, mica solo prima di tornare in Italia, ogni tanto un giro su Facebook ci vuole.

Per tornare a metrosessuale: è una parola che in verità non uso mai, a cui attribuisco un significato di cui stavo già dubitando mentre cercavo di spiegarlo a Chiara; ora devo controllare su internet per confermarmelo. Io l'ho imparata negli ultimi anni a Milano sentendola usare da Paolo, che in realtà è l'unica fonte che ho. Lui magari se l'è pure inventata e io ci ho costruito su un film di filologia... figurati.
I metrosessuali, comunque, se è tutto vero quello che penso, sono quei ragazzi molto curati, con sopracciglia perfette ad ala di gabbiano, camicie o magliette aderenti ai muscoli da palestra, capelli e basette scolpiti. Sono presenti anche a Tours ma non so se esiste già una parola per indicarli. Con tutte le parole che inventano i francesi a ciclo continuo, dubito che non ce ne sia una: ce ne sarà piuttosto una per ogni banlieue.

Ho controllato. La definizione è giusta e su Wikipedia c’è pure l'etimologia, uau:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Metrosessualit%C3%A0
Allora Paolo non se l’era inventato!

venerdì 1 luglio 2016

Ciao Tours

Oggi ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze. È finito alle 22, eccezionalmente perché non li faccio più davvero 'sti orari, ma oggi sì e così anche se parto domenica sono scesa alla Guinguette senza passare da casa per salutare un po' questi posti con un bicchiere di Gamay.
Ora non è che mi metta a fare l'intenditrice, so solo che questo è un vino rosso locale, e qui si fa un sacco di vino. Ma io faccio i wafer.
Il mio lavoro in parte è qualcosa che Pierre Rabhi, filosofo-agronomo che ho scoperto in Francia, definirebbe "servitù volontaria". Mi ha molto colpito questo modo di guardare al lavoro moderno: che lui confronta con forme antiche e meno strutturate di lavoro, che serviva per vivere e che si poteva sospendere, e riprendere quando di nuovo necessario.
Oibò, da quando in qua?

Anche per riprendere un po' di contatto con la natura, le cose vive, anche se qui a Tours la natura è molto più facile da scovare che a Milano, adesso vado a passare un po' di tempo in una fattoria biodinamica a Novi Ligure. A lavorare, cosa che in questi ultimi giorni un po' densi prima di partire non trovo più tanto entusiasmante. Gratis per di più, e qui esce tutto il mio lato genovese che ho cercato di ammaestrare stando 20 anni a Milano, in primo luogo, e poi con profonde riflessioni sul dono, l'abbondanza, il non attaccamento.
Più che un lato, è la mia anima più radicata che parla, un'anima che cerco di assopire abituandomi a pensare al denaro come ad uno degli strumenti a disposizione. Ma io sono veramente una formichina, e credo che sarei capace di vivere con lo stipendio da 1000 euro dei dipendenti della cascina senza grandi modifiche al mio stile di vita.

Quindi si parte per la campagna, in un posto in cui qualcuno tutti i giorni fa il pane e la focaccia, che la Liguria è vicina; in cui gli animali allevati costituiscono un anello essenziale per armonizzare il rapporto tra uomo e piante. Mai sentita una giustificazione più bella allo sfruttamento animale. Approfondirò.
Tante e diverse energie sottili sono evocate in questa fattoria: nella sala del ristorante dell'agriturismo sono appesi gli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Venite a trovarmi!
A Novi Ligure, www.cascinadegliulivi.it.
Anche lì si fa il vino, biodinamico. La visita alla cantina dove fermenta in queste enormi botti di rovere equivale alla passeggiata nel caveau di una banca, con la differenza che il vino è vivo e vi sussurra mentre gli passate davanti. Shhh... crrr... psss....

Se prima di salutarci vogliamo aprire una parentesi climatica, qui l'estate vera è durata due giorni a maggio e due a giugno. Qui alla Guinguette, con giacca e sciarpa e maglione e pantaloni lunghi, sogno i 30 gradi di Milano. Qui, massimo 20; e ora, in riva al fiume - la Loira che allagava i paesini, la Martesanona di Tours - sto gelando. Falangi bianche e rigidine sul touch screen.
Questo pensiero passerà subito appena arrivo, lo so, come sono conscia della necessità antropologica di fare confronti con l'erba del vicino. Chiudo la parentesi che può portare lontano, perché a tutti, compresa me, piace parlare del meteo; ed è rassicurante.

Come è altrettanto rassicurante salutare prima di partire, congedarsi dal territorio conosciuto che ci ha accolto e dato spazio e possibilità.
Ieri con un aperitivo in piazzetta nella modalità "Ciao, buone vacanze, ci rivediamo" con gli amici italiani e spagnoli.
Domattina con una colazione da Marjolaine, la mia unica amica francese rimasta nella lista delle amiche francesi, ma che non vedo da marzo; stavo già chiedendomi se la dovevo depennare, e invece no! resiste, si è fatta viva. Bella Marjo.
Oggi alla Guinguette con un bicchiere di vino che a breve sarà un Cortese.

Buone vacanze!

Serena