venerdì 27 gennaio 2017

Intorno ai pains au chocolat - Spirito tourangeau

Grazie ai pains au chocolat ho imparato un elemento chiave per integrarmi con i francesi, questo popolo perfettino, esigente e pieno di autostima.
Arrivando qui, inizialmente avevo sentito dire da molti che i tourangeaux parlano il miglior francese di Francia, che sono aristocratici inside - vivere in un posto dove una villa di campagna si chiama château produce questo effetto - e che è difficile farseli amici. Loro si autodefiniscono freddi.
Col tempo ho imparato che sono attaccati alle loro abitudini come un pidocchio al suo capello, che le regole sono più importanti delle persone e più durevoli delle ragioni alla loro origine. Ma sto parlando dei tourangeaux, dei francesi, o dei miei 15 colleghi del gruppo "Pains au chocolat"? La solita domanda a cui non so rispondere.

Tutta questa storia comincia un venerdì mattina di agosto 2015, il primo venerdì di lavoro nell'ST di Tours. Mentre prendo posto alla scrivania vedo un sacchetto di carta posato lì vicino, con dentro dei pains au chocolat. Chiedo ai colleghi presenti di cosa si tratti e loro mi spiegano che esiste un gruppo che il venerdì mattina si compra i pains au chocolat pagandoli a turno, per mangiarli insieme e condividere un momento di convivialità al bar dell'ufficio. Mi piace molto l'idea, mi piacciono molto i pains au chocolat, non esito un attimo ad aggiungermi alla lista. Nel gruppo ci sono praticamente tutti i manutentori e i tecnici (shift eng), e poi gli eng (tipo me); la maggior parte lavora in équipe in settimana, cioè a turni alternando una settimana il mattino (6.00-14.00) e una il pomeriggio (14.00-22.00). Quindi i gruppi di pains au chocolat in realtà sono due, fatti dell'équipe A e dall'équipe B. Ecco che già le cose si complicano... devo iscrivermi anche alla seconda lista se voglio fare colazione in compagnia tutti i venerdì alla Cafétéria, che noi chiameremmo "le macchinette".

Passa il tempo e l'acqua della Loira sotto il ponte Wilson (il famoso ponte di pietra che si vede in tutte le foto di Tours vista dalla Loira), io partecipo con piacere all'iniziativa e pago quando mi tocca pagare. In una delle liste si aggiunge un gioco: chi offre i pains au chocolat sceglie il dress code che tutti i partecipanti sono invitati ad adottare il venerdì. È un'idea molto carina e divertente: abbiamo visto dal taglialegna al marinaio, dal total white al tricolore italiano - indovinate chi l'ha scelto, he he he...
Passa altro tempo e altra acqua della Loira sotto i suoi ponti. Nonostante il venerdì cerchi di arrivare al lavoro prima, e vada direttamente alla Cafétéria invece di passare dall'ufficio, capita spesso che alle 9 non ci sia più nessuno al bar e che il mio pain au chocolat mi aspetti già sulla scrivania. È buono lo stesso, Bertrand che è l'addetto all'acquisto si rifornisce in una boulangerie che li fa enormi e burrosi come si deve; ma peccato, addio convivialità.
Delle volte ce n'è pure più di uno, perché se qualcuno è assente e al bar non se lo sono diviso qualcosa avanza, e io ovviamente gradisco sempre l'extra. Nonostante la scarsa convivialità, mangiarsi due pains au chocolat guardando Workstream resta una goduria.

Il fattaccio che mi ha sconvolto e spinto a condividere queste riflessioni è successo quest'autunno, ad oltre un anno dal mio arrivo. Ormai non faccio più nemmeno lo sforzo di arrivare presto, se sono stanca arrivo dopo e amen; con gli orari che faccio alla sera in ufficio nessuno pretenderá che entri sempre prima delle 9 come da regolamento, ogni tanto sforo. Servirà a qualcosa essere "cadre"???? che poi qui tutti gli ingénieurs sono cadres, che  in concreto significa non dover timbrare. Poche altre sfumature contrattuali che non conosco neppure, ma differenza tra timbrare o no è essenziale per me e il mio rapporto col badge e l'orologio.

Se il problema del mio orario di arrivo talvolta flessibile finora non si è posto per i miei capi, così non è stato con i gruppi dei pains au chocolat. Un giorno arriva una mail che dice "cercate di arrivare presto perché noi che iniziamo alle 6 facciamo la pausa alle 8.15, ed è carino fare colazione insieme partecipando a questo momento di convivialità, uno dei pochi che ci possiamo permettere al lavoro."
Giusto, giustissimo. Ma se ho sonno alla mattina e sono lenta e mi godo le coccole delle gattine e sono indecisa sui vestiti da mettermi e tutto ciò fa sì che arrivi tra le 8.45 e le 9 nonostante la sveglia alle 6.45 (!) e che tutti i giovedì sera mi riprometta "domani mi alzo prima"... che ci volete fare? peggio per me, mi mangerò il mio pain au chocolat da sola sbloccando i lotti.
E invece... e invece è successo l'Inimmaginabile.
Un venerdì mattina arrivo in ufficio e... pas de pains au chocolat. Alla Cafétéria ero già passata, nessuno, neppure in ufficio: inizio a telefonare.
Alla domanda "Dov'è il mio pain au chocolat?" ottengo solo risposte elusive e scaricabarile, come se non ci fossero testimoni del momento della sparizione. Qui sono maestri di omertà, ve lo dico io.
Passa il tempo e dei pains au chocolat neppure l'ombra, neppure il sacchetto vuoto, non era mai successo prima. Quando riesco ad incastrare Frankie in uscita dalla cleam room, un manutentore di cui non conosco ancora il vero nome e cognome ma a cui sono simpatica, brandelli di verità emergono, e capisco che il mio pain au chocolat è stato spartito tra chi era al bar. Nonostante fosse un giorno con degli assenti e ne avanzassero altri. Nonostante io non fossi assente. Nonostante non esista la procedura scritta che dica "Chi non arriva entro le otto e mezza al bar perde il diritto di disporre del suo pain au chocolat".
SE LO SONO MANGIATO.
E io non avevo neppure fatto colazione.
Frankie, senza mai dire "Ce lo siamo mangiato", con una meravigliosa politesse francese (buone maniere che a prima vista agli italiani sembrano indice di falsità e doppiezza) ha argomentato il fatto che bisogna arrivare presto, che la pausa è alle 8.15, che tutti rispettano l'ora, che è bello stare insieme. In coda aggiunge anche una fantastica semi-giustificazione infantilistica e accusatoria tipica del retropensiero francese: se uno non viene mai in tempo allora significa che non gliene importa niente di condividere quel momento in compagnia - e voi allora voi mi punite mangiandovi il mio pain au chocolat???
Incavolata nera, indignata come solo una golosa frustrata e affamata può sentirsi, ho cercato di chiarire a Frankie il mio punto di vista con il massimo della cortesia disponibile in quel frangente. Piacere di stare insieme o trappola formale? Convivialità o gara a chi arriva prima? Il fatto che io paghi quando è il mio turno sembra che non sia una garanzia sufficiente ad assicurarmi il mio pain au chocolat a prescindere dall'orario di arrivo. A cosa serve essere in una lista se poi i tuoi compagni di lista non si ricordano che esisti?

Ero furibonda. Ma ho tirato fuori tutto il savoir faire possibile a stomaco vuoto, per essere costruttiva e cercare una soluzione che mettesse tutti d'accordo. Se è così bello stare insieme, si potrebbe spostare un po' l'orario della pausa in modo tale da venire incontro ai bisogni di tutti, no?
Arriva una persona nuova nel gruppo e il gruppo si adatta alle esigenze di tutti, se c'è bisogno: dai, fate pausa dalle 8.30 alle 9 e io arrivo in tempo, mi sembra uno stupendo compromesso, no?
No.
Frankie è irremovibile: dispiaciuto perché una signorina che rimane senza colazione e te ne chiede spiegazione sulla porta della clean room è una fatto spiacevole, ma c'est comme ça. Non è lui a fare le regole, ma le enuncia con la sicurezza di chi le conosce da anni, di chi si è nutrito da sempre di una certa forma mentis. Ne ho conferma quando mando una mail al gruppo per scusarmi del mio ritardo e per chiedere di spostare l'ora di 15 minuti, senza far cenno al fatto che il mio pain au chocolat sia stato sbafato da qualcun altro. La risposta è la stessa, diplomaticamente dice qualcosa che significa "arriva prima e lo troverai".

Con loro non sono arrivata così lontano nella mia ricerca della verità, ma mi sono chiesta: se invece che una single lenta fossi una mamma affannata che al mattino deve portare a scuola 4 figli, me lo avrebbero tenuto da parte?
Non è detto. Qui vince la regola, se non stai nella regola non stai nella lista, punto. E il pain au chocolat te lo puoi comprare in piazza alle 8.50.

Quel giorno il pain au chocolat me lo sono comprato alle 13.30, uscita in pausa pranzo ancora scornata e delusa. Per compensare mi sono pure presa un croissant.
La boulangère mi chiede da dove vengo (basta il mio "Bonjour" per capire che non sono francese) e come al solito finisce che parliamo dell'incontro-scontro culturale con i francesi. Lei mi sorprende dicendomi "Ah, ai tourangeaux... non provare a cambiare le loro abitudini! sono conservatori e rigidi, anche se sotto sotto hanno il cuore tenero. Prima adàttati alle loro regole e poi forse le cambierete insieme".
Questa rivelazione mi ha risollevato il morale, forse più dell'apporto di zuccheri e grassi delle brioche. E mi ha fatto pensare.

Ieri era di nuovo venerdì, sono arrivata alle 8.35 alla Cafèt (abbreviazione immancabile). Tutto il gruppo era già al tavolino con il sacchetto al centro, in cui un pain au chocolat mi aspettava.
Da qualche parola captata qua e là nei vari discorsi che ancora faccio fatica a seguire, ho capito che era stato pure lui a rischio sbafo... ma che importa, avevo già le dita unte di burro e il sapore di cioccolato a diffondere endorfine dappertutto, e mi stavo godendo la pausa di convivialità con i colleghi ammirando il dress code del giorno: "camicia, né bianca né nera".
Vincitore assoluto Bertrand, con camicia verde a bollini multicolore.
Sono matti questi francesi.