lunedì 30 dicembre 2019

Mogli e buoi

Da quando conosco Carlo, l'ho sempre sentito dire che non ce la fa più a restare in Francia, che se fosse stato per lui sarebbe già tornato in Italia da tanto tempo.
A Tours ha due figlie grandi, dei nipotini, una casa, una pensione che gli permette di tornare in Italia praticamente ogni mese e vorrebbe addirittura un camper per poter essere ancora più libero di fare e rifare questo viaggio.
Carlo è un uomo che si è fatto da solo, e più volte. Ha imparato il francese venendo a Tours dal Sud più di 40 anni fa, da giovane uomo separato in cerca di una nuova vita. Ha fatto tanti lavori diversi, ha aperto un'officina e lavorato come orologiaio, conosce tantissima gente e continua a sostenere che con gli italiani, lui, sta meglio.
Non solo: da quando lo conosco, Carlo dice che mai più avrà una relazione con una donna francese: "Mogli e buoi dei paesi tuoi", lo sappiamo tutti e Carlo ne sostiene la veridicità, come se fosse molto più di una frase fatta.
 
Quando la mia bellissima storia con Lionel ha cominciato a dare segni di cedimento, ho voluto capire meglio il discorso di Carlo sperando di trovare una soluzione al mio problema, una via per avvicinarmi di più alla mentalità di un francese che io avevo inizialmente definito "atipico" da quanto lo trovassi sorprendente e diverso dagli altri francesi: divertente, schietto, attento alla sostanza più che alla forma e senza figli a 46 anni.
Come al solito, parlando di tratti tipici nazionali è impossibile non generalizzare, e allora smettiamo di temere gli stereotipi. Categorie mentali profondamente ancorate in noi, sono molto comodi quando servono a darci elementi per muoverci più facilmente in un orizzonte complesso, ma bisogna saperli accantonare non appena l'esperienza diretta ce lo permette.
Prima di conoscere un po' i francesi, ce li immaginiamo con baschetto, baffetti e baguette sotto il braccio; prima di conoscere un po' l'Italia, i francesi se la immaginano un paese dove fa bel tempo, dove la gente gestiscola e parla ad alta voce.
I luoghi comuni hanno sempre un fondo di verità, per quanto parziale. I proverbi ne sono forse una versione più elaborata e filtrata dalla saggezza popolare, riuscendo a fornire una risposta immediata al bisogno di semplificare la realtà, per capirla e capirci.
 
Sotto l'influenza di una di quelle domande da cento milioni di euri che si presentano a ciascuno di noi prima o poi ("perché sono qui?"), mentre la mia relazione era già da mesi arrivata al capolinea, ho cominciato a pensare al significato del proverbio che parla di mogli, buoi e paesi.
Sulle mogli il messaggio sembra chiaro, Carlo docet. I codici affettivi e comportamentali acquisiti in famiglia dipendono anche dalla cultura di un Paese, e possono essere così radicati e diversi da giustificare anche grosse difficoltà di comunicazione. Non sarà vero per tutti ma lo è per molti, un vero luogo comune.
E i buoi? ci avevate mai pensato ai buoi?

Certamente i buoi servono in primo luogo a fare la rima fondamentale per far stare in piedi il proverbio.
E fin qui.... eh, Luisito???
Possiamo vedere i buoi come la fonte di sostentamento, il mestiere, il modo in cui ci si procura da vivere. Avere un lavoro in Francia o fare un mestiere specifico di un altro Paese, come il torero, per un italiano potrebbe quindi essere anti-proverbiale. Esistono di certo mille controesempi, siamo d'accordo, ma qui non parliamo delle eccezioni che confermano la regola. Sto proprio cercando, se esiste, la regola, una regola.
I buoi potrebbero anche rappresentare le persone con cui si passare la giornata lavorativa (e non) e allora, escludendo i partner che il proverbio menziona in maniera esplicita, penso ai colleghi e agli amici. Quanta fatica costa certe volte farsi capire, le sfumature di un discorso non sono sempre traducibili e anzi meglio non voler aggiungere sfumature in una lingua che non è la propria per evitare malintesi. Meglio essere chiari, il più possibile, con il rischio di appiattire il discorso ma per lo meno farsi capire.
Infine, ho pensato che chi non ha ancora abbandonato un'alimentazione carnivora i buoi se li può anche mangiare, quindi potrebbero essere simbolo del cibo, che nutrendoci andrà a costituire la sostanza stessa del nostro corpo.
Allora siamo italiani anche perché mangiamo la pasta? Forse è proprio così e la composizione del nostro corpo ne porterebbe le prove: un Bioarcheologo potrebbe dircelo con l'analisi della composizione dei resti umani, facendo ipotesi sull'alimentazione delle popolazioni e i loro movimenti migratori.

Altri si sono applicati al problema on line, qui una discussione interessante: https://forum.wordreference.com/threads/mogli-e-buoi-dei-paesi-tuoi.85760/
dove ho trovato una delle riflessioni che preferisco.
"I tuoi affetti, le tue cose più care, quelle con cui devi convivere per tutta la vita, fai in modo che ti siano familiari, che non ti siano estranei e che non ti riservino sorprese. Questo ti renderà la vita più semplice."
Lontano da casa, ci si dovrebbe andare giusto per le vacanze.

 

mercoledì 30 gennaio 2019

I buoni propositi

31 dicembre: una giornata particolare per molti, che ispira riflessioni e bilanci di tono variabile dall'ansiogeno al rassicurante. I pensieri scomodi si attenuano nei preparativi per il veglione, in cucina e nei negozi di vestiti alla ricerca dell'abitino giusto per celebrare come si deve il transito da un anno all'altro.
Abbiamo tempo fino a mezzanotte per realizzare i buoni propositi rimasti in canna per un anno. Se si tratta di iniziare ad usare l'abbonamento open della palestra OK, è troppo tardi. Se invece vi siete promessi di iniziare a suonare la tromba che avete comprato apposta per imparare già un anno fa, o di iniziare ad fare un'attività fisica con costanza, siete ancora in tempo! Io su questo me la cavo perché ho iniziato entrambe le cose qualche settimana fa.
E visto che da tanto tempo non mi interessa nemmeno più cercare un vestito per il veglione, posso usare il 31 per pensare ai buoni propositi per l'anno nuovo.

(...)
Come tante altre volte, il treno arrivato a destinazione non mi lascia il tempo di finire il post che stavo scrivendo. Sapeste quante bozze sono iniziate in treno in attesa di una fine. Tant pis, come si dice qui; tanto peggio, cosi' è, non c'è niente da fare. Ma la riflessione è andata avanti e se riesco a finire il post di capodanno prima dell'inizio di febbbraio sono anche contenta! Che poi va anche bene perché in Francia, Paese delle regole e delle buone maniere, ci si fanno gli auguri di buon anno fino al 31 gennaio. Tant pis.
Il 31 dicembre, quindi: una porta verso il cuore dell'inverno, uno scalino che si può solo salire, uno dei tanti simboli del tempo che passa.
A biodanza ho imparato il potere dei simboli, toccando con mano il loro effetto su di me, quindi da alcuni anni la sera del 31 trovo un sistema per sancire un passaggio importante. L'ultimo 31 dicembre passato a Milano, 2014, ero a casa con un'amica ed alle soglie del mio 40esimo compleanno. I pensieri che già mi stavano girando in testa erano diventati ancora più confusi e insistenti dopo la notizia che un ex-fidanzato aveva avuto un figlio. Un cocktail esplosivo che un paio di settimane dopo mi ha fatto diventare bionda! E con la primavera ha dato il via alla ricerca di un lavoro all'estero.
Bene, quella sera ho eseguito con la mia amica un rituale di passaggio dall'anno vecchio a quello nuovo piantando dei fagioli in un vaso pieno di terra. Quei fagioli rappresentavano i nostri buoni propositi, destinati a diventare concreti come piantine e crescere grazie alle nostre cure e ad un impegno costante.
E infatti. Nonostante poco tempo dopo quelle del mio vaso si siano seccate molto presto, il risultato si è visto, che ci si creda o no: cinque mesi dopo ero a Tours a fare il colloquio.
La forza del simbolo secondo me sta nell'impronta che lascia nell'immaginazione dell'individuo nell'istante in cui diventa rappresentazione di altro. Il simbolo lascia un segno sotto forma di un'intuizione, ci suggerisce nuove idee.
L'anno dopo la sera del 31 ero a Tours. Ho di nuovo pensato di fare un gioco con i fagioli, ero con amici e senza vasi per cui ho inventato un gioco che prevedeva di dedicare un fagiolo ad ogni cosa nuova da mettere nell'anno nuovo. Poi a ciò che volevamo rimanesse con noi, poi a ciò che volevamo lasciare nell'anno vecchio, per ogni cosa un fagiolo da prendere dal sacchetto e posare nella propria tazzina o in quella al centro del tavolo, per i fagioli da lasciare dietro di noi. Questi poveri ultimi fagioli alla fine del gioco sono stati lanciati nella Loira con grandi risate e addii per cio' che non ci serviva più.

Su di me il giochino dei fagioli ha tanto potere: se non nella realizzazione degli impegni che ho preso, perché la costanza non è la mia migliore virtù, almeno nel ricordarli a lungo. E ogni anno ho voglia di rifarlo aggiungendo varianti.
Quest'anno la variante è stata che... non ho fatto il gioco. Un litigio capitato male proprio il 31 mi ha spento l'entusiasmo, ma non è detto che per questo il simbolo non lavori dentro di me, anzi. Attira altre fonti di ispirazione che i fagioli : ad esempio, questo articolo molto piacevole. Qualche scienziato che ha studiato il problema ha stabilito che la maggior parte dei buoni propositi non si realizza mai, quindi tanto vale fissarsene uno, massimo due, per evitare la frustrazione di vedere i buoni propositi ripetersi da un anno all'altro!! Non ci voleva un genio, ma giusto qualcuno che ce lo dicesse ad alta voce.
Buoni propositi, good resolutions, bonnes résolutions.
Ed adesso che è passato un mese, che a Rochecorbon si sta già preparando la sfilata di Carnevale, che i Giorni della Merla stanno annunciando la lunga discesa verso la primavera.... cosa ne è stato dei vostri? Perché io quest'anno non c'entro. Io non ho giocato coi fagioli. In pratica, ho già smesso di correre e la tromba è di nuovo posata nella valigetta.
Attenzione, ci sono solo altri 11 mesi prima della prossima frustrazione.

Mi è venuta un'idea, ispirata da Jacki Zehner. "I love taking the time to reflect on the year in terms of goals achieved".
E se invece di guardare nell'anno che abbiamo davanti per trovare i buoni propositi che ci opprimeranno e ci faranno nascere sensi di colpa, guardassimo indietro agli obiettivi raggiunti? Anche se non erano i nostri obiettivi di partenza. Pensiamo a quanti cambiamenti che ci sono stati durante l'anno, alle piccole e grandi evoluzioni, ricercate o no.
E se invece di parlare di buoni propositi parlassimo di ricette imparate? di vicini di casa trasformati in amici? di timidezze superate? di nuove piacevoli abitudini? di limiti dimenticati? Sarebbe un bilancio molto più incoraggiante e alla fine passeremmo il 31 complimentandoci con noi stessi con grandi pacche sulle spalle.
Quest'anno un'amica mi ha insegnato a preparare il kefir d'acqua. Un anno fa non sapevo neanche che esistesse, adesso lo bevo al mattino.
L'anno nuovo, comunque, si riempirà come vorrà lui e certo ci succederà qualcosa di buono e bello che ci farà assaporare l'anno passato.
E poi chissà che senza l'ansia di raggiungere una meta prefissata, con calma non si arrivi a concludere qualcosa sul serio pure con la tromba. Con la corsa non ci credo più.

Auguri!