domenica 19 marzo 2017

Lo zio politically scorrect

Quando immaginavo la mia vita in Francia non avevo considerato la questione dei rientri imprevisti, e quando si parla di urgenza si parla di solito di brutte notizie.
Ancora un viaggio Tours-Italia-Tours imprevisto, ancora un funerale.
Dopo la zia Iana e Marzia, adesso lo zio Marcello.

Aver voluto spostare il baricentro della mia vita significa essermi voluta allontanare da un mondo conosciuto, un po’ pesante, che faceva da sfondo ormai un po’ troppo ripetitivo ad una me stessa sempre più stanca del tran tran su cui si erano affacciati i 40 anni. Un tran tran che visto dal mio pianeta emotivo non mostrava delle grosse prospettive di evoluzione. Mi sembrava di fare la stessa vita, compiendo gli stessi errori, vivendo le stesse difficoltà, da molto tempo.

Le persone fanno parte di questo sfondo, o no? Ma per forza, sì. E quando si va via si lascia anche quello che non si voleva lasciare, che alla fine del bilancio complessivo è rimasto dalla parte da cui ci si allontana.
Con la distanza, la relazione con le persone è la cosa che è cambiata di più. Ne ho conosciute nuove, e mentre vecchie conoscenze sono sempre più sbiadite alcune amicizie stanno brillantemente sopravvivendo alla lontananza. Lo zio sì, era da un po' che non ci sentivamo, ma con la certezza che rivedendoci si sarebbe subito ritrovato il nostro legame con una battuta.
Forse ci eravamo visti quest'estate l'ultima volta. In questi ultimi 40 anni, poteva essere passato anche più tempo ma se chiamava al telefono di casa dei miei ed ero io a rispondere, lo riconoscevo subito. Mai una volta che avesse detto "Sono lo zio", lui preferiva iniziare già scherzando. E allora si poteva spaziare dai pubblici uffici ("Pronto, qui è il Servizio Oggetti Smarriti di Genova Principe") ai pubblici esercizi ("È il bar della piazza? Mi fa due caffè? Uno macchiato caldo e uno doppio in tazza grande"), passando per personaggi sconosciuti ("Pronto, il ragionier Rossi?")

Io l’ho conosciuto molto di meno di sua moglie, suo figlio, mia madre, i suoi amici, di chi gli ha vissuto vicino giorno per giorno. Ho certamente una visione parziale: non abbiamo fatto vacanze insieme, ci siamo frequentati come uno zio e una nipote in pranzi di famiglia, feste comandate e week end. Mi sento però ugualmente piena del suo ricordo e della sua eredità, quella che ho ricevuto io.
Fare ridere era una priorità, prendere in giro e trovare soprannomi prima che venisse inventato il politically correct. Perché oggi a nessuno verrebbe in mente di salutare i suoi nipotini dicendo "Ciao handicappati!", cosa che ci faceva ridere tantissimo... erano i primi anni '80, scusate!
Adoravamo lo zio con i baffi, che chiamava "Süss l’ebreo" lo zio di campagna con tendenza all’avarizia. Süss non avrebbe voluto che raccogliessimo la frutta matura dagli alberi del suo giardino, ma un pomeriggio lo zio ce lo ha fatto fare di nascosto!
Per continuare con i soprannomi, Io zio Marcello aveva ribattezzato "Arkan" il nipotino pestifero di 3 anni, e io stessa ero diventata "Skeletor" in un periodo di magrezza eccessiva che per altro faceva preoccupare mia madre - senza ragione per fortuna, perché non ho mai perso l’appetito e per questo lo zio si permetteva di sdrammatizzare.
Si è divertito a chiamare la moglie di mio fratello col nome della loro cagnetta e viceversa, e qui gli anni '80 erano finiti da un pezzo. Ma ci faceva così ridere, compresa Claudia-Gina.
Ogni volta che era invitato dai miei mi raccontava il menù preparato da mia madre, sua sorella gemella Marcella (mamma non prendertela! ) che molto diversamente da lui non ama molto il cibo né cucinare. E cominciava a comporre un menù inventato (mezzo mestolo di brodo di dado con la pastina... una foglia di lattuga scondita.... dolce no perché a cena bisogna stare leggeri") che rendeva benissimo lo stile di certe cene a casa nostra, quando mia madre non ha voglia di applicarsi.

Un uomo di spirito, insomma. E di più.
Di lui mi rimane questa eredità, lo spirito di un uomo che amava la vita e le persone, restandone un osservatore attento e curioso. Da ragazzino scapestrato e lavativo a scuola, con la zia Milly ha allevato il figlio unico meno viziato che conosca. Sui campi da calcio ha allenato ed educato decine di ragazzi dosando barzellette e disciplina. Poi, recentemente si era messo a leggere Seneca e studiava psicologia. Facendoci ridere lui ci trattava da pari a pari, da adulti; ci mostrava che ci voleva bene regalandoci tutte quelle storielle, quei giochi di parole, e pure le smorfie... sapete, lui sapeva pure muovere un orecchio in su e in giù: anche per questo, per me è sempre stato uno zio eccezionale.

Al suo funerale c’era tanta gente e tanto sole. A Varazze era primavera, mio cugino Alessandro in maniche di camicia e occhiali scuri salutava i parenti sul piazzale della chiesa. Tanta commozione.
Il sacerdote straniero che ha celebrato il funerale non conosceva lo zio, leggeva il suo nome su un foglietto ma è normale se il prete amico che avrebbe potuto fare una cerimonia più personale si trovava lontano in viaggio... i rientri imprevisti non sono mica sempre possibili.
Quel foglietto doveva essere il certificato dell'anagrafe, così ho scoperto durante la celebrazione che lo zio aveva un secondo nome. Mia mamma ce lo ha confermato: era per ricordare lo zio Peppino che ha combattuto con i fascisti e con Franco (con, non contro) nella guerra civile spagnola e che poi è morto per le ferite qualche anno dopo essere tornato a casa, poco prima che nascessero loro... ma io, mai saputo.
Fino a metà cerimonia quindi lo zio è stato chiamato Marcello Giuseppe; dopo un po’ però il sacerdote forse si è sentito più a suo agio e in maniera quasi famigliare ha cominciato a chiamarlo Giuseppe... Giuseppe... nostro fratello Giuseppe... che se qualcuno fosse arrivato tardi al funerale, se ne sarebbe andato pensando di avere sbagliato chiesa!!!
Allo zio sarebbe piaciuta questa storiella, e anzi magari ci ha messo proprio lui lo zampino. Sono sicura che l’ha già raccontata a S. Pietro.

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