lunedì 21 novembre 2016

Scene da un matrimonio

Lo sposo è davanti alla Mairie, emozionato e splendido in smoking. C’è fermento tra gli invitati che aspettano nella stanza del sindaco. Noto il ritratto di Hollande in grande spolvero che campeggia su una parete, il tricolore francese che pende in un angolo. E il vociare, il brusio che accompagna sempre le attese: completamente assente. Il silenzio è rotto solo da Chiara, qui da 20 anni, che con uno stupendo accento toscano mi dice qualcosa come "Ma a questi poi verrà qualcuno a svegliarli?"
Per il resto lo scenario è quello solito, con la solita eterogeneità negli stili di abbigliamento tipica dei matrimoni - dal cappellino in stile elisabettiano alle scarpe da ginnastica - che mi fa tanta tenerezza quando immagino gli sforzi che si fanno per mettere insieme un outfit adeguato all'evento. Perché nonostante la varietà si vede che ognuno ha fatto del suo meglio per celebrare gli sposi con la sua presenza e una tenuta da festa: ci siamo proprio fatti belli.
Ormai sono passati più di 10 minuti dall'orario della cerimonia scritto sull'invito; molto strano mi dico, i francesi sono così precisi... piccola rivincita, he he he. Ed in effetti un brusio inizia a serpeggiare tra gli invitati (finalmente) e qualcun altro si avvicina alla vetrata del municipio da cui sto guardando lo sposo in attesa. Jérôme è tranquillo ma serio, si vede tutta la tensione che l'amica testimone con veletta e gonna a palloncino non riesce a dissipare. Entrambi guardano verso il punto da cui dovrebbe apparire una macchina bianca.
Finché... arriva lo sposo.

Il 29 ottobre sono stata al mio primo matrimonio francese: le nozze di Jérôme e Richard, due ballerini di tango colti e squisiti con cui ho passato più di un serata nelle milonghe della Région Centre.
Dal 2013 la legge in Francia consente il matrimonio egualitario: il "mariage pour tous", adozioni comprese. I miei amici stanno insieme da molti anni, ma solo l'anno scorso hanno deciso di sposarsi. La loro per molti era una relazione alla luce del sole: sono entrambi più che adulti, eppure pare che con le famiglie non sia tutto filato liscio. E resta sempre il pensiero che quello che per molti è la normalità di un rito antico e tanto ovvio da essere talvolta perfino snobbato, per altri rappresenta la conquista di un diritto, un riconoscimento troppo recente per esserci già abituati. Durante il loro matrimonio hanno raccolto donazioni destinate a finanziare una casa di accoglienza per minorenni omosessuali scappati di casa.
Jérôme e Richard hanno voluto preparare il loro matrimonio con calma, per celebrarlo con tutti i dovuti cerimoniali e anche di più. Macchina d'epoca, addobbi, fiori, bouquet, ricevimento, musica, danze; forse le bomboniere no, ora non ricordo, ma ci sono stati moltissimi dettagli originali, totalmente nuovi per me.
A cominciare dal logo: due smoking stilizzati con papillon che hanno fatto stampare sugli inviti, sui menù... e sui francobolli. Quasi un brand.
E poi, la richiesta di ricevere il regalo in denaro ma in forma anonima, grazie alla testimone con la veletta che si è fatta tramite per la raccolta. Molto bello, vero? mai più l'imbarazzo del "quanto bisogna dare".
Invece di organizzare un intrattenimento per la serata, gli sposi hanno preferito la sorpresa e chiesto agli amici di preparare momenti di animazione e spettacolo; così chi se l'è sentita ha offerto una piccola esibizione agli sposi e agli altri invitati, devo dire con grande modestia e simpatia. Non riesco ad immaginare facilmente la stessa cosa in Italia; secondo me ci prendiamo troppo sul serio e ci sembra di non essere all'altezza perché abbiamo delle alte pretese davanti ad un'esibizione in pubblico.
E così, sullo scenario di carta da parati verdina della sala polivalente comunale abbellita dalle decorazioni e dal mega logo in cartoncino bianco e nero, davanti ai grandi tavoli rotondi del catering e alle poltroncine habillées, gli amici hanno dedicato agli sposi canzoni, poesie, una sonata di violino... spettacolini semplici ed emozionanti, che dopo il taglio della torta e l'immancabile tango degli sposi - Jérôme sa anche ballare da donna - hanno lasciato spazio alle danze. Sui tacchi è sempre un po' dura, e tacchi ce n'erano tanti, ma siamo andati a nanna verso le 5 lo stesso.

Ma mica finisce così un matrimonio francese: il giorno dopo c'è un pranzo, con cui gli sposi possono salutare gli invitati prima che ripartano. Per questo Jérôme e Richard hanno organizzato un brunch con gli avanzi, e io che sono una presenzialista non potevo mancare: come dire di no a questa usanza tipica francese!
E sono stata contenta il giorno dopo di trovare altri visi disfatti come il mio dalla levataccia delle 11 di mattina, illuminati dai sorrisi per la serata condivisa fino a poche ore prima. Che bello vedere quasi tutti tornare a ritrovarsi in una specie di pic nic al coperto, senza più formalità ed etichette che comunque erano già svanite passando tante ore insieme. Senza smoking, acconciature, trucco e tacchi, senza più darsi del voi ma non per questo meno gentili, con i raggi del sole che entrando dalle finestre della sala polivalente ci illuminavano a nostro agio in scarpe da ginnastica, ci siamo serviti da un buffet di pains au chocolat, antipasti, torta nuziale e Vouvray, lo spumante della Touraine.
Come in un film di Pupi Avati, in un'aria di famiglia.


giovedì 27 ottobre 2016

Italia - Francia 2-2

Ed eccoci al secondo appuntamento con i confronti tra due Paesi. Devo dire che questo tipo di riflessioni occupa buona parte dei miei pensieri, forse un segno che non mi sono poi cosi' tanto ambientata né abituata. Continuo a notare le differenze.
Certo tutto è relativo: parlo di Italia e di Francia ma dovrei parlare di Tours rispetto a Milano e Cogoleto, sono queste le mie vere fonti. Quindi forse tutto questo non ha senso, eppure... vediamo se vi convinco.

Scolapiatti
In nessuna cucina che ho visitato finora in Francia, anche di italiani, ho trovato lo scolapiatti chiuso dentro uno sportello. Spesso c'è la lavastoviglie nelle case, ma nella mia ad esempio no. Ovunque i piatti si mettono a scolare sul lavandino, su supporti con una griglia o su uno strofinaccio, o appoggiati direttamente al lavandino a forte rischio scivolamento.
Mi sembra sempre una soluzione provvisoria, in attesa di comprare il vero scolapiatti; ma questo non succederà mai perché penso che i costruttori di mobili non li fanno proprio. Ma mi chiedo: e Ikea? fabbrica cucine per francesi senza scolapiatti??
Dato che non sono tanto brava a giocare a Tetris con piatti e pentole do il punto all'Italia.

Buone maniere
Non a caso "bon ton" è una parola francese. Qui la buona educazione è quasi un valore morale. Non entri in panetteria senza dire bonjour al panettiere, e se lo fai perché stai pensando ai fatti tuoi e magari lui sta servendo chi è entrato prima di te rischi che il panettiere se la prenda. Gli dai del "vous" anche se ha 20 meno di te ed è uno studente in stage (qui tutti i mestieri hanno una scuola e di conseguenza lo stage: anche il process engineer di ST).
Ormai mi sono abituata: do del voi ai ragazzi che trovo in tram con i piedi appoggiati sui sedili di vellutino carino per chiedergli: "Messieur, s'il vous plaît, pouvez-vous retirer vos chaussures de ce siège? Merci!", e loro iper educatamente rispondono "Excusez-moi madame".
C'è in pratica tanta maleducazione condita da buone maniere. Questo ossimoro si realizza anche nelle persone (sempre di giovani si tratta, ma staro' invecchiando io) che urlano di notte uscendo dai bar mentre passano in rue Charpentier (grrr). Gli stessi poi il giorno dopo girano silenziosissimi sui mezzi pubblici e trovano che gli italiani hanno un tono di voce alto, e quindi fastidioso. E tant'è. La verità è che non c'è un meglio e un peggio assoluto.
Se posso imparare qualcosa da questo confronto, riconosco che la Francia ce lo puo' insegnare in termini di politesse.
Nonostante il mio collega Philippe stasera mi abbia fatto incavolare molto con la sua politesse; il suo non guardarmi in faccia e non rispondermi quando gli parlo per me è insolenza e forse per lui è normale. Pero' non alza mai la voce e mi fa notare che il mio tono invece è troppo nervoso, di stare attenta a come parlo, e cosi' si sente in diritto di andarsene perché lui non ci tiene ad avere a che fare con persone "énervés".

Padroni di cani
Qua siamo indietro di dieci anni rispetto all'Italia, o all'Italia che conosco io.
Padroni di cani per fare la differenza tra loro e i loro cani. I cani poverini la cacca la devono fare, sono i padroni che non raccolgono i segni del loro passaggio. Meno male che qui in questo Paese in cui la forma è sostanza i netturbini si danno da fare per togliere le tracce dei maleducati. Si', anche i francesi pieni di belle maniere non si preoccupano di sporcare i marciapiedi di pietra bianca di Tours e e aiuole curate della loro Ville Fleurie a 4 stelle (su 4).
(Inciso: sappiate che esiste in Francia una classifica di villaggi e città "fioriti", c'è una giuria che va in giro e dà i voti alla qualità ed estensione del verde pubblico:
Quindi entrando in città invece del cartello "Citta denuclearizzata" a Tours vi accoglie la scritta "Ville Fleurie ****)
La mia amica spagnola Beatriz ha vissuto a Tours per 11 mesi. Quindi per quasi un anno ha portato la sua cagnolina Lupe a spasso per Tours e lungo la Loira senza MAI incontrare qualcuno che raccogliesse con il sacchettino la cacca del cane, e sentendosi anche cretina per la sua costanza nel farlo. Mi ha detto che qui i sacchettini di plastica costano tantissimo confronto a Madrid. Secondo me questo non è il motivo ma la conseguenza della cattiva abitudine dei padroni di cani francesi. Si tratta di un prodotto di nicchia e quindi costa caro, un po' come il fois gras. E come il bidet, sigh.
L'idea geniale di Bea, che vi passo, è quella di diventare ricca vendendo in Francia i sacchettini importati dalla Spagna: supponendo che esistano padroni francesi di cani che li utilizzano.
Fatelo anche voi quando venite qui a trovarmi: li vendiamo e vi pagate il viaggio.

Rispetto per i ciclisti
Netta vittoria della Francia. Girando in bicicletta qui mi sento tranquilla, le macchine aspettano di avere spazio sufficiente a superarmi lasciando almeno un metro e mezzo tra me e la loro portiera. Tanto rispetto quindi, ma secondo me sono anche un po' seghe qui a guidare, sebbene dicano che gli italiani guidano male. Ci sono rastrelliere dappertutto, zone vicino al semaforo dedicate all'attesa delle bici, moltissime piste ciclabili, alcuni sensi unici con doppio senso di marcia consentito alle bici, cartelli per le bici che permettono di non rispettare il semaforo rosso. Certe volte queste deroghe sono un po' pericolose, come un contromano permesso alle bici su una mini carreggiata di 50 cm e in curva, con le macchine che ci passano sopra; ammetto che ho paura di passare di li' e quindi evito. Incapacità nella progettazione o volontà di facilitare le bici a tutti i costi? sia quel che sia, c'è evidentemente tanto interesse per le bici: non solo da parte del pubblico ma anche dalle istituzioni. Anche in Italia la bici sta vivendo il suo Rinascimento, ma mi sembra che li' le istituzioni siano ancora un po' al traino dell'iniziativa dei ciclisti. Qui è una specie di Pubblicità Progresso che fa il Comune, e pure lo Stato attraverso le imprese tra cui ST, con una sovvenzione per chi garantisce di venire al lavoro in bici almeno un certo numero di giorni all'anno. Incredibile! Come per chi viene con i mezzi c'è lo sconto sull'abbonamento, cosi' per chi viene in bici c'è in regalo un kit da ciclista con il giubbino fosforescente e robe varie. ST offre pure uno sconto sull'acquisto della bicicletta elettrica! Io pero' me la rido, io vado in bici sulle mie gambe e scalo pure la Tranchée.
La bici elettrica me la compro quando vado in pensione, cioè mai.



giovedì 8 settembre 2016

Passione

In questo momento una coppia da qualche parte si sta separando, in questo momento un’altra si sta formando. Osservare da fuori queste vicende è curioso, certe volte invece ci sei dentro.
Vedo le coppie in giro – in Francia ce ne sono molte che camminano tenendosi per mano, di tutte le età – e mi immagino il momento in cui i due hanno saputo che si piacevano.
Una sera davanti al ristorante Les Blancs Manteaux una coppia si è formata; un giorno davanti al tabacchino tra rue Coppée e rue du Maine una coppia si è separata. I posti testimoni di tutte queste emozioni hanno un ruolo? influiscono sui pensieri, sulle parole, sull’ispirazione? restano testimoni neutri? Raccolgono e conservano un po’ di quelle emozioni a spasso?
Abito al secondo piano in una casa che sta su una strada stretta. Una sera, appena tornata dal lavoro, ho sentito da giù di sotto due voci giovani parlare con un tono di voce insolito: addolorato lei, risentito lui. Sconfortati entrambi. Una scena molto intima, molto triste.
Lei camminava verso di lui che si stava allontanando. Ogni qualche passo la preghiera di restare, subito seguita da un motivo in più per rinfacciare una colpa dolorosa, o fastidiosa.
La ragazza ha iniziato a piangere, lì sotto la mia finestra. Che pena: il tono di lui si è un po’ abbassato ma ha conservato il rancore; doveva esserci una grande ferita a farlo parlare cosi’, o un grande orgoglio.
Abito vicino alla strada, da casa mia si sente quello che dicono le persone quando passano. In quel momento, con il cielo grigio che forse andava a piovere, nessun altro passante. C’erano solo i due ragazzi addolorati, nei loro vestiti estivi scelti al mattino senza sapere cosa sarebbe successo alle sei di sera, a consumare la fine della loro storia sul marciapiede davanti alle mie finestre. La compassione per quei due e per l’umanità che soffre gratis per le pene d’amore mi ha fatto mettere nello stereo una musica dolce e definitiva; per dare uno sfondo un po' più colorato dei muri biancastri delle case ai loro ricordi belli, che in quel momento dovevano affollare le loro menti. Per provare a dare un atterraggio un po' più morbido dell'asfalto ai cocci della loro storia. E ho alzato il volume.
"Passione" (Neffa, 2007).
Finita la canzone ancora qualche parola, poi torna il silenzio in rue Charpentier. Cioè no, i soliti rumori: tornano i passanti, qualche auto, mi affaccio e i due ragazzi non ci sono più.
Magari mi sono fatta un film e gli ho solo rotto le scatole; forse quei due volevano menarsi e gli avrebbe fatto pure bene.
Comunque sia, ragazzetta in pantaloncini e coda di cavallo, ascolta quello che dice Raffaella Carrà: se ti lascia, lo sai che si fa? trovi un altro più bello che problemi non ha.
Tanti auguri! (1978)



domenica 14 agosto 2016

Bandierine

Chiacchierando davanti ad una birra con Cédric di bar e ristoranti carini, vengo a sapere che lui ha messo in pratica qualcosa di molto semplice che io ho sempre immaginato di fare: segnare su una cartina i locali che ha visitato. Lo scopo, oltre a quello dichiarato di ricordarseli, è quello di tenere traccia dello stato di avanzamento della lenta ma inesorabile scoperta di TUTTI i locali della città. Una specie di gioco nerd, ma che trovo divertente e in certo qual modo rassicurante. La rassicurazione del tracciamento del percorso, del completamento, della collezione, dell'appropriazione.
Anche se atipico - cioè carino, simpatico e sveglio - Cédric è un informatico e questo spiega tutto.
Che poi devo ancora capire se e quanto è atipico!

Anche se non ho mai attaccato ad un muro la piantina di una città con le sue bandierine, ho un lato nerd che mi fa tendere alla stessa modalità di ricerca. Forse per la mia natura di aspirante persona metodica, forse  per l'impostazione analitico-sistematica dei miei studi, mi è spesso capitato di pensarmi ad affrontare la scoperta del Paese-Francia suddividendo il compito in piccole parti. Il che consisterebbe nell'organizzare viaggi in diverse città durante i weekend, per visitarla piano piano TUTTA.
Chiaro che si tratta di un'utopia, un asintoto, in un Paese che è esteso quasi il doppio dell'Italia: magari giusto a S. Marino sarebbe realistico pensarlo.

Oggi, ferragosto, è passato un anno dal mio primo giretto turistico aurorganizzato, ad Angers. Nel corso dell'anno varie altre bandierine immaginarie sono state piantate qua e là dopo la prima, a sancire l'appropriazione (tra tante virgolette), il passaggio (troppo poco), o meglio il mio primo assaggio di un posto.

Livello razionale: la bandierina rappresenta un primo grado di conoscenza di un posto, di profondità diversa caso per caso. Sancisce che io lì mi so a grandi linee orientare, che ho incamerato delle immagini vere ad integrare quelle di Google, talvolta addirittura che grazie a qualche "spiegone" - come dice mia sorella - letto nei punti di interesse storico possiedo l'informazione minima che mi consentirebbe di parlare per un minuto della città. O anche che ci sono rimasta a vagare per un pezzo cercando un parcheggio o un indirizzo.

Livello emotivo: la bandierina trattiene i ricordi legati alla visita di quella città, come la foto di una cartolina fissa nella nostra memoria l'immagine del lungomare. Le persone che ho incontrato, gli amici che erano a spasso con me, i baretti, i pensieri, il colore del cielo e dei muri, l'atmosfera respirata quel giorno in città, la ragione che mi ha portato lì e non altrove. Soprattutto le foto che ho fatto, le immagini che ho scelto di portarmi via, comporranno la forma del ricordo.
La faccia di una città che si forma standoci, poco o tanto, sostituisce le immagini che il semplice nome inizialmente evocava in me. Ogni mattina andando al lavoro passo ormai con noncuranza in una via da cui si intravede uno scorcio della Tour Charlemagne, uno dei campanili rimasti della basilica di S. Martino da Tours. Mi ricordo che i primi giorni facendo questa strada la guardavo pensando un giorno di prendere il tempo per esplorare quella chiesa antica di cui vedevo una parte. E che dopo averla vista sarebbe diventata un pezzo di città conosciuta, una bandierina in effetti. E che la reazione vedendola successivamente e ripetutamente sarebbe cambiata.

In questo spazio che considero un quaderno di viaggio sto per registrare fedelmente i nomi delle città che non sono più solo una parola e una posizione sulla cartina. Che ci sia andata intenzionalmente, o per una sosta improvvisata, per un cambio di programma poco importa (qui si dice uguale, peu importe). Da brava nerd, per mio piacere e vostra noia cerco di raggrupparli nello stesso spezzone tra un punto e virgola e il successivo se hanno fatto parte dello stesso viaggio. Mettendoli pure in ordine temporale, tranne per la regione di Tours. Ciò che è a portata di passeggiata in bicicletta non lo metto, che fa parte di Tours e dintorni.
Non solo: un elenco così nel blog è veramente brutto da vedere, ho deciso che dedicherò un post unicamente per questa lista che ha una certa importanza solo per me, e che se mi decido ad essere un po' più nerd metterò a giorno in tempo reale (en temps réel, anche questo si dice uguale).

In Touraine: Chenonceau con Terry, Fondettes, Amboise già tre volte con vari amici, Rochecorbon, Bléré, Blois con Simona,

Fuori dalla regione Centre:
Mont Saint Michel, Saint Malo, Dinan, Dinart, con Nicola e Francesco; Carnac, Audierne, Quimper con Francesca; Dreux, Chartres; Saumur, Nantes con mia sorella; La Bourboule; Grenoble; Caen, Port en Bessin con Michele; Limoges, Chedigny con Chiara e Michele; Bordeaux, Contis-les-Bains, Biarritz, Saint Jean de Luz con Frédéric proprio questo weekend di ferragosto.

E già mi rendo conto che potrei aver dimenticato qualcosa - non tipo Tours e Parigi, eh, quelle non si contano :)
Eh sì: il vero nerd mette le bandierine mano a mano, mica aspetta un anno a segnarsi le cose.
Petite joueuse, si dice, piccola giocatrice: cioè "che scarsa"!

domenica 31 luglio 2016

Un anno fa a quest'ora

In questi giorni si sta compiendo il giro di boa di un anno a Tours. Se mi guardo indietro, mi sembra una vita fa. Se mi guardo davanti, è volato.
Questi giorni mi fanno ripensare ai loro corrispondenti del 2015: intensi, col batticuore, pieni di pensieri e gesti dal sapore de "l'ultima volta che". Giorni di riflessioni, birre con gli amici, corse, telefonate, qualche lacrima, nell'estate di Milano. L'energia ritrovata. Il tempo correva e per fortuna non ce n'era abbastanza per fermarsi a pensare alla domanda sempre latente "Ma cosa sto facendo?", per lasciarsi andare allo sconforto che accompagna le separazioni. Il segreto per andare avanti dritta nel progetto era di immaginare che tutto ciò non stesse succedendo a me.
E poi con l'arrivo a Tours finalmente un po' di calma: la ricerca dei punti di riferimento, le scoperte, nuove immagini, pensieri e gesti col sapore de "la prima volta che". Mi sentivo al cinema, vivevo con la curiosità e il piacere della novità, ma consapevole di essere nel punto d'innesco di piccoli meccanismi che un giorno sarebbero diventati una nuova routine.
Mi sentivo in vacanza.

Oggi quei giorni sono diventati una sequenza di bei ricordi. Mi trovo a guardare il calendario ripensando a quello che è successo un anno fa, e cullo un po' ogni ricordo rivivendolo.

Un anno fa a quest'ora stavo salutando i cari colleghi di Agrate, dopo 9 anni insieme, con un trolley pieno di focaccia.
Un anno fa a quest'ora stavo facendo la festa con i miei amici e mia sorella alla Cascina Martesana.
Un anno fa a quest'ora preparavo la casa per gli ospiti Airbnb che l'avrebbero usata ad agosto, e in contemporanea il primo pezzo di trasloco con la Y, scegliendo con difficoltà tra i miei averi un sottoinsieme di cose utili da portare per stare il primo mese a Tours.
Un anno fa a quest'ora ero in macchina con Terry, i bagagli e i miagolii delle micie ad affrontare il Frejus e un nuovo inizio.
Un anno fa a quest'ora bevevo la mia prima birretta alla Guinguette.
Un anno fa a quest'ora entravo in ST agitata, a conoscere i miei nuovi colleghi e le loro amene abitudini francesi con gli stuzzicadenti, dando cento strette di mano ma le uniche per me sensate.

Oggi questi pensieri mi fanno sorridere e riflettere. Sono molto contenta di come sono andate le cose, c'è una piccola punta di tristezza che non è nostalgia, nonostante sia più lontana dalla mia famiglia e dai miei amici, nonostante non viva più nella casa che è stata la mia prima casa. Ora non vorrei essere in un altro posto, ma se ci fossi penso che ci starei bene. È come se avessi vissuto la fine naturale di un periodo, 20 anni a Milano, cifra tonda. Non è arrivata troppo presto, forse nemmeno troppo tardi, mi sembra che sia stato un passaggio piuttosto equilibrato.

Domani prenoto alla boulangerie un sacchetto di mini pains au chocolat e croissants per festeggiare con i colleghi il 3 agosto, primo giorno di lavoro. Ce ne stanno 50 nello zainetto, così faccio tutti contenti e posso andare in bicicletta.
Ed è bellissimo: mi sento ancora in vacanza!

lunedì 25 luglio 2016

Integrazione in salsa francese

Frédéric me l'aveva detto diversi mesi fa, quando - appena conosciuto - gli raccontavo della piccola frustrazione di non aver ancora socializzato con i francesi, nemmeno con i colleghi. Non un aperitivo, non un invito a casa, non un numero di telefono. In fondo potrei fare pena a qualcuno, essendo arrivata qui da sola e senza conoscere nessuno. Invece no: tanti sorrisi e grande gentilezza, tanti complimenti all'Italia il "Paese del sole", e poi finito l'orario di lavoro i colleghi francesi tornano a casa loro. Grazie alla politica di sostegno alla famiglia, avere moglie, marito e figli è la regola e immagino che molti rientrino punto e basta; ma certamente talvolta dopo alcuni giri, perché qui a Tours vedo bar e ristoranti pieni, alla gente piace stare fuori.
Frédéric ad oggi resta l'unico francese che frequento. Poi c'è l'unica francese che frequento, Marjolaine, anche lei che come Frédéric e come vi ho già raccontato ha vissuto diversi anni all'estero.
Frédéric mesi fa mi diceva che è normale, in ambiente lavorativo, iniziare a socializzare con i colleghi dopo circa un anno. Per me era follia: un aperitivo lo si concede anche ad uno sconosciuto nemmeno troppo simpatico, ad un nuovo cliente, ad un collega appena arrivato. I bar sono pieni, ve lo giuro, e non sono tutti amici di vecchia data.
Come dicevo a Nicola - che sta affrontando l'integrazione in salsa belga - nonostante gli zero inviti, in questi mesi con i francesi ho continuato a fare l'italiana simpatica. Mi viene abbastanza spontaneo socializzare; al lavoro però è anche molto utile perché, come ad Agrate, ci sono mille funzioni diverse e per lavorare ho quotidianamente bisogno dell'appoggio di altre persone che mi aggiornano programmi, mi spiegano procedure, mi aggiustano le questioni burocratiche, mi approvano cambi di processo, partecipano alle mie riunioni. Avere buone relazioni è veramente molto utile e molto importante.

Mi stavo rassegnando a questa situazione, tanto a me mica mancano gli amici: italiani e spagnoli. Eppure un paio di mesi fa successe qualcosa.
Era un periodo che andavo in continuazione dal gruppo che gestisce Workstream perché dovevo fare una cosa complessa che non sapevo neanche spiegare. Per gli addetti ai lavori: assomigliava a creare un prodotto di zavorre con una maschera e altre operazioni tra cui la mia, la deposizione del rame, e con una route di riciclo per rimuovere il resist e il rame e ricominciare daccapo. Così complesso che anche sulla sintassi della frase di spiegazione ho dei dubbi! Inoltre la maschera da usare era uguale a quella usata dai lotti di produzione, ma non gestibile allo stesso modo perché qualcuno ha stabilito la regola per la quale le zavorre non possono avere le stesse operazioni dei lotti veri.... insomma, un macello.
Quindi io per un buon periodo sono andata nell'ufficio di Stéphane, Bruno, Dany, Eric e Alex quasi tutti i giorni per questo progetto. Ogni volta senza capire molto di quello che succedeva, ma ci dovevo essere.
Questo gruppo è abbastanza scherzaiolo al suo interno, da loro si percepisce un'atmosfera distesa. Solo tra me e Stéphane non la percepivo, dato che gli ho rotto le scatole taaante volte, e ho fatto taaanti errori con il suo TQManager - ottusa applicazione con cui pretendono di programmare i test sulle attrezzature invece di usare Workstream: dietro immagino ci sia un motivo storico che ancora non conosco.
Tra una cosa e l'altra, in una delle mie solite permanenze da loro ad osservare muta Bruno ("Brünó") che smanetta nello script del mio prodottino, tra loro esce un discorso che riguarda la pétanque, il gioco di bocce tipico francese, giocato tipicamente nei piazzali sterrati davanti alle mairie (i municipi) dei paesini, quando fa caldo, all'ombra dei platani. Questo è il ricordo che mi rimaneva dai miei giri in Provenza durante l'Erasmus.
La pétanque mi incuriosisce e inizio a fare domande, naturalmente senza smettere di fare l'italiana simpatica. Non so se un francese avrebbe mai osato autoinvitarsi come ho praticamente fatto io, dato che qui noto un grado di discrezione che sfiora il menefreghismo. Aperta parentesi, come venerdì scorso che David, collega delle scrivanie di fronte, pur vedendomi vagare per la Cafétéria in cerca di loro, dei miei colleghi che il venerdì mattina condividono un piccolo momento di convivialità mangiando pains au chocolat e che per la prima volta avevano cambiato posto facendomi perdere le loro tracce, se n'è stato zitto adducendo poi la scusa che pensava che li avessi visti, e che per rispetto verso di me non ha tirato un urlo per chiamarmi. Ma figuriamoci!! Non ha nemmeno mosso un piede per venirmi a chiamare mentre frustratissima andavo in ufficio a prendere il telefono aziendale con cui l’ho chiamato per sapere dove si trovavano!!! Vabbe'.
Chiusa parentesi, stavo dicendo che proprio per questa estrema discrezione con cui forse si simula - se si è timidi - o si dissimula l'indifferenza, forse un francese non si sarebbe permesso di autoinvitarsi alla successiva serata di pétanque dei colleghi. Be’, senza superare i limiti - spero - come sarebbe stato se mi fossi informata sul calendario di gioco, luoghi e orari, io mi sono solo fatta promettere che mi avrebbero inclusa nel gruppo di gioco della volta successiva. Era fine maggio.

Il tempo è passato e anche le mie vacanze, finché tra le prime mail che ricevo al mio rientro ne trovo una che si intitola "Perso". Oddio, chi o che cosa si è perso? Eh no, proprio niente: con l'abbreviazione di "Personnel" Stéphane voleva indicarmi che quella non era una mail di lavoro. Quando me ne sono accorta ho avuto quasi paura: è forse vietato comunicare con i colleghi di qualcosa che non sia lavorativo? Io avrei usato un titolo parlante come "Invitation à la prochaine pétanque"!
Ebbene sì, con quella mail dal titolo sibillino che faceva molto "top secret", ma anche un testo sintetico che mi ha aumentato l’ansia, Stéphane mi chiedeva se mi andava bene giovedì 28 luglio per la pétanque. Mancavano 10 giorni: ho risposto al volo di sì, l’ho segnato sulla mia agendina di Altreconomia e ho cancellato la mail per non lasciare tracce. A parte che fanno pause caffè allucinanti di mezz’ora e chiacchierano ovunque, questi francesi nel complesso sembrano più seri degli italiani. Quindi, meglio cancellare le prove.
Arriva il giorno fatidico: riesco ad uscire alle 17 con calma, Stéphane e Bruno mi aspettano nel parcheggio in shorts - si sono già cambiati per giocare - e ce ne andiamo verso il paesino di Monnaie dove ci troviamo con Jean-Marc, Sébastien e Sylvie. La pétanque può iniziare.
Qualsiasi posto va bene, non serve un terreno per forza regolare. Inoltre dopo ogni partita si sposta il campo in avanti di un pezzetto, come per fare una passeggiata, il terreno e le irregolarità cambiano sempre. Loro sono bravi, si vede che praticano da molto; è bello vedergli centrare le bocce con una mira perfetta - non tutti, ma davvero moltissimi tiri hanno fatto centro - sentirli fare strategie, prendersi in giro, appassionarsi, impegnarsi, giocare lealmente. Stiamo parlando di un gioco di bocce, d'accordo: ma pieno di regole e regoline che l'inquadrano come vale per qualsiasi attività francese.
I miei colleghi sono anche molto carini con me che non so ancora giocare; quando mi avvicino a fare un tiro sensato, cosa che certe volte accade solo grazie alla pendenza del terreno, mi sento dire "Celle-ci n'était pas mal", questa non era male, ben sapendo che nulla è intenzionale nei miei tiri - neanche la direzione certe volte  - sottintendendo che le precedenti giocate erano più discutibili. Ma è proprio così, ho giocato da schifo ed è normale; è così che si impara, sul campo. So che esistono corsi di pétanque, ma una disciplina così popolare bisogna impararla giocando.

Dopo tre partite siamo andati da Jean-Marc e Sylvie a fare una grigliata; dopo cena siamo ancora rimasti a bere vini vari con formaggi vari, e con il digestivo i ragazzi hanno anche provato a parlare italiano. Infine dopo il dessert (il formaggio È il dessert) Stéphane mi ha riportato a Tours, che venerdì si lavora.
Bella serata, mi riinviteranno? Io ho risposto di sì quando mi hanno chiesto se sarei tornata, vedremo.
Ancora non ho il numero di telefono di nessuno, ma forse non è nemmeno così necessario, dai.

sabato 23 luglio 2016

Foto sensoriali

Non faccio molte foto durante le vacanze da un bel po' di tempo, da quando ho scoperto che non trovo - o non cerco - il tempo per riguardarle, selezionarle, riordinarle, salvarle in una directory fuori dal telefono.
Anche per questa vacanza in Cascina nessuna foto. Mi restano però dei ricordi sensoriali, immagini scattate attraverso i cinque sensi. Cinque-sei.

Il canto di svariati galli come sveglia del mattino.
Il sole delle 7 sui volti dei miei colleghi di zappa.
Sapore di albicocche raccolte da un albero che cresce nella vigna, sono tiepide.
Il peso della zappa, della terra, del sole, del lavoro.
Spighe di farro monococco mi pungono mentre le abbraccio per legarle in un covone.
Fiori ed erbacce piene di colori nel giardino inselvatichito intorno ai tavoli del pranzo.
Canto di cicale nelle ore calde a metà giornata, ad accompagnare il sonno.
La brezza che entra dalla finestra a rinfrescare i miei piedi allungati sul letto, appena tolte le scarpe da lavoro.
Uno sciame bianco di piccoli di papere e oche mi corre incontro facendo pio pio quando mi avvicino al recinto, hanno imparato che gli porto l'erba.
Piume morbide e bianche sul dorso, infangate sulla pancia.
Le mani che mi sembrano via via più grosse con il passare del tempo e delle ore nei campi.
La consapevolezza di desiderare, qui, un tempo nuvoloso.
Il pizzicotto che fa il tafano quando punge, facendo uscire gocce di sangue.
Acqua terrosa sul fondo della vasca da bagno porosa durante la doccia.
Patchwork di pelle abbronzata e non.
Lucciole nel buio lungo la strada per rientrare in casa.
Odore di solaio nella mia stanza.
Silenzio e grilli.

giovedì 7 luglio 2016

Sincronizzazione dei contenuti

Mentre io sono qui, voi siete lì. Mentre io qui, scopro come si vive in Touraine, voi che non avete (ancora, magari) cambiato casa, città, Paese, state facendo altrettanto numerose scoperte. Tante potrebbero restarsene a livello inconscio perché riguardano piccoli dettagli, o aspetti della vita quotidiana che non attirano più di tanto l'attenzione perché sembrano ormai consolidati. Come anni fa ho sentito dire in uno dei miei corsi alternativi, il cervello è selettivo e pure pigro, o piuttosto economo: tende alla condizione di equilibrio che comporta il minimo sforzo. Magari non per tutti è lo stesso, ma questa descrizione del funzionamento cerebrale calza a pennello al mio.
Il cervello reagisce a situazioni e particolari nuovi che non corrispondono immediatamente alle categorie già registrate in memoria, e così ci si accorge facilmente di una nuova pubblicità sui cartelli in città. Questo è per esempio il genere di scoperte che si fanno quotidianamente anche senza cambiare casa, città, Paese.
Queste sono le scoperte che faccio ogni volta che torno in Italia. "Ah, ma guarda, ora qui hanno aperto un bar", "C'è una nuova ciclabile in via Agordat", "Mia mamma ha cambiato le tende della cucina". Queste piccole novità mi danno il senso del tempo passato fuori di casa. Mi succedeva sempre tornando a casa a Milano dopo le vacanze, ancora con lo zaino addosso trovavo in metrò le pubblicità cambiate. Il giorno dopo già non le notavo più, mi ero sincronizzata con i piccoli cambiamenti fatti dalla città in mia assenza.

Anche le parole cambiano mentre siamo via. Se vi capita di vedere un pezzo di telegiornale degli anni settanta, con le stesse parole oggi ancora di uso comune si costruiva un linguaggio leggermente diverso. E si sente. Mi piace immaginare la successione di piccoli cambiamenti che 40 anni dopo porta a questa sensazione di leggera estraneità.
Quindi ieri non c'era da stupirsi quando mi sono accorta che Chiara, amica fiorentina che vive a Tours da 20 anni occupandosi di letteratura rinascimentale, dotata di una grande proprietà di linguaggio, non conosce la parola "metrosessuale". Questo, d'accordo, è un caso limite. Forse questa parola è nota solo a Milano, o solo a chi si occupa di Costume & Società, di Generazione X e robe varie.
Seguire le notizie italiane ci tiene sul pezzo, e così anche gli italiani di Tours dicono "Ciaone". La lingua però è in continuo movimento e per stare veramente sul pezzo "bisogna esserci", nei luoghi. Luoghi fisici, geografici. In una casa, in una città, in un Paese. A 20 sono andata a vivere a Milano, e nonostante tornassi a casa tutti i fine settimana il binario della mia vita ha cominciato a divergere. La mia quotidianità non era più con i miei genitori, mio fratello e mia sorella, con gli anni il problema della sincronizzazione si è manifestato nel non essere più sempre al corrente delle notizie dei parenti, di Cogoleto; l'università di Dario, i clienti di mia sorella praticante avvocato, i personaggi del lavoro di mia mamma e i quiz di  matematica di mio padre. Qualche pezzo mi manca, ritrovarsi a cena in famiglia tutti i giorni ha l'effetto di favorire la sincronizzazione dei vissuti.
Anche per i social vale lo stesso discorso. Certe cose addirittura succedono solo lì, non sono certo le più importanti ma fanno parte dell'orizzonte. I social sono essenziali per la sincronizzazione sui fatti importanti, sui gossip importanti, sulle vicende personali di chi ha voglia di parlarne pubblicamente.
insomma. Per mettermi in pari in generale, mica solo prima di tornare in Italia, ogni tanto un giro su Facebook ci vuole.

Per tornare a metrosessuale: è una parola che in verità non uso mai, a cui attribuisco un significato di cui stavo già dubitando mentre cercavo di spiegarlo a Chiara; ora devo controllare su internet per confermarmelo. Io l'ho imparata negli ultimi anni a Milano sentendola usare da Paolo, che in realtà è l'unica fonte che ho. Lui magari se l'è pure inventata e io ci ho costruito su un film di filologia... figurati.
I metrosessuali, comunque, se è tutto vero quello che penso, sono quei ragazzi molto curati, con sopracciglia perfette ad ala di gabbiano, camicie o magliette aderenti ai muscoli da palestra, capelli e basette scolpiti. Sono presenti anche a Tours ma non so se esiste già una parola per indicarli. Con tutte le parole che inventano i francesi a ciclo continuo, dubito che non ce ne sia una: ce ne sarà piuttosto una per ogni banlieue.

Ho controllato. La definizione è giusta e su Wikipedia c’è pure l'etimologia, uau:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Metrosessualit%C3%A0
Allora Paolo non se l’era inventato!

venerdì 1 luglio 2016

Ciao Tours

Oggi ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze. È finito alle 22, eccezionalmente perché non li faccio più davvero 'sti orari, ma oggi sì e così anche se parto domenica sono scesa alla Guinguette senza passare da casa per salutare un po' questi posti con un bicchiere di Gamay.
Ora non è che mi metta a fare l'intenditrice, so solo che questo è un vino rosso locale, e qui si fa un sacco di vino. Ma io faccio i wafer.
Il mio lavoro in parte è qualcosa che Pierre Rabhi, filosofo-agronomo che ho scoperto in Francia, definirebbe "servitù volontaria". Mi ha molto colpito questo modo di guardare al lavoro moderno: che lui confronta con forme antiche e meno strutturate di lavoro, che serviva per vivere e che si poteva sospendere, e riprendere quando di nuovo necessario.
Oibò, da quando in qua?

Anche per riprendere un po' di contatto con la natura, le cose vive, anche se qui a Tours la natura è molto più facile da scovare che a Milano, adesso vado a passare un po' di tempo in una fattoria biodinamica a Novi Ligure. A lavorare, cosa che in questi ultimi giorni un po' densi prima di partire non trovo più tanto entusiasmante. Gratis per di più, e qui esce tutto il mio lato genovese che ho cercato di ammaestrare stando 20 anni a Milano, in primo luogo, e poi con profonde riflessioni sul dono, l'abbondanza, il non attaccamento.
Più che un lato, è la mia anima più radicata che parla, un'anima che cerco di assopire abituandomi a pensare al denaro come ad uno degli strumenti a disposizione. Ma io sono veramente una formichina, e credo che sarei capace di vivere con lo stipendio da 1000 euro dei dipendenti della cascina senza grandi modifiche al mio stile di vita.

Quindi si parte per la campagna, in un posto in cui qualcuno tutti i giorni fa il pane e la focaccia, che la Liguria è vicina; in cui gli animali allevati costituiscono un anello essenziale per armonizzare il rapporto tra uomo e piante. Mai sentita una giustificazione più bella allo sfruttamento animale. Approfondirò.
Tante e diverse energie sottili sono evocate in questa fattoria: nella sala del ristorante dell'agriturismo sono appesi gli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Venite a trovarmi!
A Novi Ligure, www.cascinadegliulivi.it.
Anche lì si fa il vino, biodinamico. La visita alla cantina dove fermenta in queste enormi botti di rovere equivale alla passeggiata nel caveau di una banca, con la differenza che il vino è vivo e vi sussurra mentre gli passate davanti. Shhh... crrr... psss....

Se prima di salutarci vogliamo aprire una parentesi climatica, qui l'estate vera è durata due giorni a maggio e due a giugno. Qui alla Guinguette, con giacca e sciarpa e maglione e pantaloni lunghi, sogno i 30 gradi di Milano. Qui, massimo 20; e ora, in riva al fiume - la Loira che allagava i paesini, la Martesanona di Tours - sto gelando. Falangi bianche e rigidine sul touch screen.
Questo pensiero passerà subito appena arrivo, lo so, come sono conscia della necessità antropologica di fare confronti con l'erba del vicino. Chiudo la parentesi che può portare lontano, perché a tutti, compresa me, piace parlare del meteo; ed è rassicurante.

Come è altrettanto rassicurante salutare prima di partire, congedarsi dal territorio conosciuto che ci ha accolto e dato spazio e possibilità.
Ieri con un aperitivo in piazzetta nella modalità "Ciao, buone vacanze, ci rivediamo" con gli amici italiani e spagnoli.
Domattina con una colazione da Marjolaine, la mia unica amica francese rimasta nella lista delle amiche francesi, ma che non vedo da marzo; stavo già chiedendomi se la dovevo depennare, e invece no! resiste, si è fatta viva. Bella Marjo.
Oggi alla Guinguette con un bicchiere di vino che a breve sarà un Cortese.

Buone vacanze!

Serena

giovedì 19 maggio 2016

Scritto con un pennarello

Questa sera sto pensando a Frédéric, il mio amico francese.
Non ho altri amici francesi, diciamo che gli altri sono state delle delusioni. E comunque non erano tanti. Ma Frédéric vale 100.
Una cinquantina d'anni, direttore ateo o quasi di una scuola cattolica. L'ho conosciuto al cinema, 6 mesi fa, all'anteprima di un bellissimo documentario che mi ha segnato: "Demain".

http://www.demain-lefilm.com/le-film

Frédéric era amico del regista, così dopo il film sono andata a casa sua per la prima volta con un po' di altra gente a continuare a parlare di quel mondo di idee e di soluzioni per evitare lo scatafascio verso cui spesso mi sembra di vedere andare l'umanità. Molto bello, in Italia uscirà ad ottobre. In Francia ha appena superato un milione di spettatori. E ha vinto il César, cioè l'Oscar francese, per il miglior documentario. Con Frédéric condivido tante idee e modi di vedere le cose. Con Frédéric divido il sacchetto di verdure bio (e un po' pure solidali) a sorpresa, il "panier", che una volta alla settimana i Jardins du Contrat ci preparano da quando ci siamo abbonati.
È un francese atipico: aperto, generoso, spiritoso, accogliente fin da subito. Non a caso ha vissuto molti anni all'estero.
Da un annetto la domenica mattina prepara una zuppa ed invita chiunque a casa sua per condividerla. Anche gente conosciuta al cinema la sera prima. Anche amici di amici, e dice sempre "non portate nulla". Io non ce la faccio e porto sempre qualcosa invece, in particolare i biscotti del Mulino Bianco quando torno dall'Italia. Adora i Pan di Stelle. Tables Ouvertes, ha chiamato l'evento.
Da un paio d'anni ospita un ragazzo congolese suo ex-allievo che era finito in mezzo alla strada al compimento dei 18 anni, termine legale del diritto di un minore ad essere accolto nei foyer francesi. Questo ragazzo si chiama Merveille e anche la famiglia di Frédéric gli si è affezionata. Forse anche più di Frédéric stesso.
Lo dico perché Frédéric mi ha raccontato che suo padre qualche giorno fa si è raccomandato con lui di prendersi cura di Merveille. Una delle ultime raccomandazioni al figlio, suo padre era molto malato.
Oggi c'è stato il funerale del papà di Frédéric, a Bordeaux. Ieri, prima che partisse, ci siamo visti per dividere il nostro panier. Mi ha raccontato che con i suoi famigliari hanno deciso di portare dei pennarelli al funerale, in modo tale che tutti potessero scrivere un messaggio sul legno della bara di Jean-Barthélémy Murat, prima che se ne andasse verso il compimento del viaggio: il falò.
Così è da un po' che ci penso, ad una frase da lasciare a Jean-Barthélémy. Penso a tante frasi, penso che la sua famiglia numerosa gli vuole molto bene, e che è bellissimo sapere che lo vuole salutare con un gesto affettuoso e collettivo, un grande abbraccio.
Questo bene che si moltiplica è l'insegnamento trasmesso dai genitori ai figli attraverso la realizzazione dei valori nel quotidiano. Frédéric ha un fratello adottivo; Frédéric e suo fratello hanno a loro volta adottato dei bimbi.
Questo bene si moltiplica ancora e arriva fino a me, fino a voi.

Un grande abbraccio, Fred.

Un'altra lingua

Ho appena letto un articolo sul sito di Repubblica, cioè di Babbel in realtà, che descrive benissimo un sacco di considerazioni che ho fatto anch'io in questi mesi all'estero.


https://it.babbel.com/it/magazine/10-consigli-lingua?bsc=itamag-a1-vid-bv1-tipsandtricks-tb&btp=default&utm_campaign=cd_itaall_git_cx1_bv1_tipsandtricks_2&utm_medium=CON&utm_source=taboola&utm_term=groupoespresso-larepubblica


E' troppo bello e troppo vero per lasciarlo li', col rischio di non trovarlo più on line tra un po' di mesi. Quindi lo copio qui sotto, non si sa mai che in questo blog abbia vita più lunga.
Si tratta dei consigli di Matthew Youlden, un vero poliglotta che parla ameno 5 volte più lingue di me, per imparare una nuova lingua facilmente.
In coda ai consigli di Mattew ci sono i miei commenti.


1. DOVETE SAPERE PERCHÉ LO STATE FACENDO

Potrà sembrare ovvio, ma se non avete un buon motivo per imparare una nuova lingua sarete meno motivati a portare avanti la vostra missione. Voler imparare il francese per darsi delle arie davanti ai propri connazionali non è uno dei motivi migliori. Se lo scopo è invece far conversazione con una persona di madrelingua francese che vorreste conoscere meglio, avrete già una marcia in più. Qualsiasi sia il motivo del vostro interesse, una volta scelta la lingua da imparare, l’essenziale è l’impegno che ci metterete: “Bene, ho deciso che voglio imparare bene questa lingua, quindi farò il possibile per usarla, leggerla, parlarla e ascoltarla ogni volta che ne avrò l’occasione.”
Il motivo per cui 17 anni fa scelsi la Francia come destinazione per il mio Erasmus era quello di imparare il francese benissimo, perché il francese sulla bocca di una donna è molto affascinante.
Il motivo per cui ci sono ritornata è molto meno chiaro.


2. IMMERGETEVI!

Una volta presa la decisione di impegnarsi sul serio, come procedere? Qual è il modo migliore di dedicarsi allo studio di una lingua? Matthew raccomanda l’approccio massimalista: non importa quali strumenti usiate, la cosa fondamentale è esercitarsi quotidianamente con la nuova lingua. “Di solito tendo a voler assorbire il più possibile fin dall’inizio. Giorno dopo giorno cerco di pensare in quella lingua, scrivere, o anche parlare da solo. Per me è tutta questione di mettere davvero in pratica quello che sto imparando, che si tratti di scrivere un’email, parlare, oppure ascoltare radio o musica in quella lingua. È importantissimo immergersi il più possibile nella cultura della nuova lingua.” Tenete presente una cosa: il training migliore in assoluto è parlare nella nuova lingua con altre persone. Riuscire a condurre una conversazione, per semplice che sia, è già un’ottima ricompensa, nonché uno dei traguardi iniziali che aiutano a restare motivati e mantenere l’impegno di esercitarsi di continuo. “Tengo sempre presente una cosa: è indispensabile adattare il nostro modo di pensare al modo di pensare nell’altra lingua. Ovviamente non esiste un singolo modo di pensare per tutte le persone che parlano spagnolo, o ebraico, o olandese, ma il punto è usare la lingua come strumento per costruirci attorno il proprio mondo.”
Quando ero a Marsiglia ascoltavo tutti i giorni France Info, una radio che passa quasi solo notizie e ciclicamente le ripete, per cui dopo un po' di volte le capivo meglio. Forse la mia amica Silvia si ricorda pure, dato che abitava qualche cameretta più in là nella Casa dello Studente!
Nel 1999 non esisteva la radio via internet. Per fortuna che stavolta  parto avvantaggiata con il francese, che ormai parlo abbastanza bene, cosi' ora posso ascoltare i miei programmi preferiti su RadioTre e Radio Deejay col mio adorato tablettino CVD.


3. TROVATE UN PARTNER

Matthew ha iniziato a imparare varie lingue insieme al fratello gemello Michael (pensate un po’: si sono cimentati con la loro prima lingua straniera, il greco, quando avevano solo otto anni!). Matthew e Michael hanno ricevuto i loro superpoteri da un tipico caso di rivalità tra fratelli: “Eravamo molto motivati, e lo siamo ancora. Ci sfidiamo a vicenda per impegnarci al massimo. Se mio fratello si rende conto che sto facendo di più, diventa invidioso e si dà da fare per battermi, e viceversa – si capisce che siamo gemelli…”. Anche se non avete fratelli o sorelle a farvi compagnia nella vostra avventura linguistica, avere un partner con cui far pratica spingerà entrambi a fare sempre un passo in più e restare motivati. “Sono convinto che questo sia uno dei modi migliori per imparare: avere a disposizione qualcuno con cui parlare, che poi è lo scopo di imparare una lingua.”
Sono messa bene: sia a Marsiglia che qui ci sono un bel po' di francesi con cui praticare.
... oh, ma cosa pensate! zero fidanzati.
...... oh, ma cosa avete pensato ancora!! no, nessuna avventura, sono semplicemente circondata da un sacco di francesi. Ce ne sono veramente ovunque, eh. Tranne il week end che per me diventa italiano e spagnolo :D


4. TENETE VIVO L’INTERESSE

Se fin dall’inizio vi ponete come obiettivo riuscire a fare conversazione, non rischierete di perdervi sui libri di testo. Parlare alla gente vi aiuterà a mantenere vivo il vostro interesse personale nell’apprendimento: “Si impara una lingua per poterla usare con altre persone, non per parlarla da soli! La parte creativa dell’apprendimento è proprio la capacità di inserire la lingua che si sta studiando in un contesto più utile, generale, quotidiano – per dire, scrivere canzoni, o anche solo voler parlare con la gente del posto, usarla quando si viaggia all’estero. Ma non serve per forza andare all’estero: se studi il greco, puoi andare al ristorante greco sotto casa e ordinare in greco.”
Spesso le parole di un menu sono le prime che entrano nel vocabolario. La motivazione in questo caso è forte, se si mangia bene poi c'è un importante effetto di rinforzo. Mi ricordo che durante la mia vacanza in Repubblica Ceca nel 2000 è andata proprio cosi' e ancora oggi senza più esserci tornata mi ricordo come si dice "birra piccola", "birra grande" e "funghi impanati".


5. DIVERTITEVI IMPARANDO

Usare la nuova lingua in qualsiasi modo è sempre un atto creativo. I gemelli superpoliglotti si sono esercitati con il greco scrivendo e registrando canzoni. Trovate un modo divertente di mettere in pratica la lingua che state imparando: magari potreste scrivere un pezzo teatrale per la radio insieme a un amico, disegnare un fumetto, scrivere una poesia, o semplicemente parlarla con qualcuno ogni volta che ne avete la possibilità. Se non trovate un modo divertente di usare la nuova lingua, forse non avete seguito il consiglio al punto 4.
Si', ok, vado al cinema ogni tanto. Ma io qui mi diverto fondamentalmente con spagnoli e italiani, accipicchia. Vado a rivedere il punto 4.


6. TORNATE BAMBINI

No, non vi stiamo consigliando di fare i capricci o pasticciare con il piatto al ristorante facendovi schizzare il purè nei capelli: stiamo parlando di imitare il modo in cui i bambini imparano. L’idea che da piccoli abbiamo maggiori capacità di apprendimento che da adulti si sta rivelando un mito: le ricerche più recenti tendono a smentire l’esistenza di un collegamento tra l’età e la capacità di imparare. La chiave per apprendere in modo rapido come quando eravamo bambini potrebbe essere semplicemente adottare certi atteggiamenti dell’infanzia: ad esempio la mancanza di imbarazzo, la voglia di giocare con il linguaggio e la disponibilità a fare errori. È proprio facendo errori che si impara. Fare errori da bambini è normalissimo, ma da adulti diventa un tabù. L’avete mai notato? Un adulto tende a dire “non so fare questa cosa” invece di “non l’ho ancora imparata” (non so nuotare, non so guidare, non so parlare spagnolo). Fallire (o anche solo far fatica) è qualcosa di cui ci vergogniamo: un problema che non affligge i bambini. Quando si tratta di imparare una lingua, ammettere che non possiamo sapere tutto (e accettare l’idea) è la chiave per fare progressi ed essere liberi. E allora lasciatevi andare e superate le vostre inibizioni da adulti!
Importantissimo: mai vergognarsi. Pensate che nel 99% dei casi avete di fronte qualcuno che parla solo la sua lingua e fatevi coraggio.


7. FATEVI AVANTI E OSATE DI PIÙ

Essere disposti a fare errori significa essere pronti a mettersi in situazioni potenzialmente imbarazzanti. Potremmo sentirci un po’ intimiditi all’inizio ma è l’unico modo di fare progressi e migliorare. Non importa quanto si studia, per poter parlare davvero una lingua bisogna farsi avanti e osare: parlare a sconosciuti, chiedere indicazioni ai passanti, ordinare al bar e al ristorante, raccontare una barzelletta. Più spesso riuscite a fare queste cose, più acquisterete fiducia e vi sentirete a vostro agio in nuove situazioni: “All’inizio andrete incontro a qualche difficoltà: potrebbe darvi qualche problema la pronuncia, o la grammatica, oppure la sintassi, o magari non capite bene certi modi di dire. Ma credo che la cosa più importante sia sempre sviluppare una certa sensibilità e appropriarsi della nuova lingua come se fosse la nostra.”
Io consiglio un bicchiere di vino per accompagnare gli sforzi. Dopo il terzo vin brulé, una sera di questo inverno ho iniziato a padroneggiare il passato remoto.


8. ASCOLTATE

Per imparare a disegnare, bisogna prima saper osservare. Allo stesso modo, per imparare a parlare una lingua bisogna saper ascoltare. Ogni lingua ci suona strana la prima volta che la sentiamo, ma più ci abituiamo ad ascoltarla più diventerà familiare e facile da parlare. “Abbiamo tutti le capacità di pronunciare qualsiasi lingua, è solo che non ci siamo abituati. Ad esempio, la cosiddetta erre arrotata non esiste nell’inglese britannico, che è la mia madrelingua. Imparando lo spagnolo mi sono trovato di fronte parole con quella particolare erre, come ad esempio perro e reunión. Per me l’approccio migliore in questi casi è ascoltare e cercare di visualizzare o immaginare come va pronunciata la parola, perché per ogni suono c’è una parte specifica della bocca o della gola da usare per ottenerlo.”
Moooolto importante! E io mi vanto anche: poco tempo fa ascoltando i francesi parlare mi sono accorta di un'eccezione di pronuncia che non avevo mai studiato. Ve la insegno: il gruppo vocalico "ai", che si pronuncia "e", fa eccezione nella coniugazione del verbo "faire":
es. nous fAIsons (facciamo), en fAIsant (facendo)... in queste parole non si pronuncia "e" ma ... quel suono neutro che non è una "e", ma una [ə]. Chiaro, no?


9. OSSERVATE CHI PARLA LA LINGUA

Ogni idioma implica modi diversi di usare le labbra, la gola e la lingua. La pronuncia è una questione tanto fisica quanto mentale: “Potrà sembrare strano, ma un approccio utile è osservare bene chi sta pronunciando le parole con un particolare suono che stiamo imparando e poi cercare di imitarlo il meglio possibile. Credetemi, potrà essere difficile all’inizio ma ci riuscirete. Alla fine è più facile di quanto ci immaginiamo: bisogna solo far pratica.” Se non avete intorno madrelingua da osservare o imitare, un’ottima alternativa è guardare film o programmi televisivi in lingua originale.
Parlando francese la bocca si apre meno che per l'italiano. Quanti di voi non hanno mai pensato che i francesi parlano in maniera atteggiata, con la boccuccia a cuore, come a fare le moine? Invece non fanno le moine ma sono veramente cosi' tutto il tempo, ridono anche in maniera più composta direi. Esistono diversi suoni vocalici neutri, che chiudono abbastanza la bocca, come quello sopra, ma anche [ø] e [œ]; inoltre anche una vocale classicamente aperta come la "a", in francese è meno aperta. E ne esistono due: [a] e [ɑ].
Che casino, eh? Ma la fonetica mi piace da matti.


10. PARLATE DA SOLI

Se non avete nessuno con cui parlare la nuova lingua, non c’è niente di male a parlarla da soli: “Lo so, sembra una cosa un po’ bizzarra, ma parlare da soli in una lingua straniera è un ottimo metodo per esercitarsi quando non si hanno altre occasioni di usarla.” Parlare da soli è molto utile per tenere a mente nuove parole e frasi e acquisire più fiducia per la prossima volta che avrete occasione di parlare con altre persone.
Dopo un po' di full immersion, un dialogo interiore in francese ha cominciato spontaneamente a farsi largo tra i miei pensieri. Penso che succeda a tutti. A Marsiglia lo lasciavo fare, qui invece mi obbligo a pensare in italiano perché è un attimo, e la lingua italiana si impoverisce e se ne perde la padronanza. Non dico mica che si dimentichi, eh: ma perché ieri sera mi è venuto da dire, finita cena con Antonio il mio collega italiano al ristorante, "Ti invito io" invece che "Offro io"?


(Consiglio extra) RILASSATEVI!

Non vi preoccupate troppo: non darete fastidio alle persone se provate a parlare nella loro madrelingua, anche se fate errori. Basta dire subito che state imparando e volete far pratica: la maggior parte delle persone sarà paziente e disponibile e vi incoraggerà con piacere. È vero che ci sono circa un miliardo di persone che parlano l’inglese come seconda lingua in tutto il mondo, ma la maggior parte preferisce comunque parlare la propria madrelingua. Prendere l’iniziativa di entrare nel mondo linguistico di un’altra persona può anche aiutare a metterla più a suo agio e creare maggiore disponibilità al dialogo: “Certo, puoi viaggiare ovunque parlando solo inglese, ma proverai molta più soddisfazione parlando anche solo un po’ della lingua locale. In questo modo riuscirai a sentirti davvero a tuo agio nel luogo in cui ti trovi e sarai in grado di comunicare, capire, interagire in ogni situazione possibile.”
E tenete presente che l'accento italiano mentre si parla francese pare che sia fighissimo, sia al maschile che al femminile, percio' veramente dateci dentro e sentitevi fighi.


MA A CHE SERVE?

Abbiamo visto alcuni ottimi consigli su COME iniziare a imparare una nuova lingua, ma se siete ancora indecisi sul PERCHÉ farlo, Matthew ha un ultimo commento da offrirvi: “Credo che ad ogni lingua corrisponda una particolare maniera di vedere il mondo. Parlare una certa lingua significa avere un modo diverso di analizzare e interpretare il mondo rispetto a chi ne parla un’altra. Anche quando si tratta di lingue strettamente imparentate tra loro, come lo spagnolo e il portoghese, per cui se ne parli una capisci piuttosto bene anche l’altra, si tratta comunque di due mondi diversi, due mentalità distinte. Nel mio caso, avendo imparato altre lingue ed essendo stato sempre circondato da molte lingue, non potrei davvero sceglierne una sola, perché vorrebbe dire rinunciare alla possibilità di vedere il mondo in un modo diverso. Anzi, non in un solo modo diverso, ma in molti modi diversi. Almeno per me personalmente, essere monolingue sarebbe un modo molto triste e noioso di vedere il mondo, mi farebbe sentire più solo. Ci sono così tanti vantaggi nell’imparare un’altra lingua che davvero non riesco a trovare un solo motivo per non farlo.”
Ha troppo ragione 'sto ragazzo. Questa è la parte più seria di tutto l'articolo. Qui si mette in discussione il concetto di traduzione e di vocabolario.
Niente da fare, bisogna imparare.



sabato 14 maggio 2016

13 maggio 2016

Tommaso sei meraviglioso.
Sette anni fa mi hai fatto diventare zia per la prima volta. Oggi per la prima volta mi parli al telefono, e mi riconosci pure. Ci sono tanti rumori qui nella stazione di Bruxelles, e mi viene l'idea di telefonare a casa tua proprio mentre arriva il mio treno per Leuven. Riprovo, perché qui, in questo Paese francofono che molti francesi considerano con sufficienza, il mio fantastico abbonamento telefonico con chiamate più internet illimitato e internazionale sembra non funzionare.
Le mie teorie complottistiche sono già ben articolate e spaziano dell'esclusione dei miei diritti telefonici dal Belgio - unico Paese europeo che si sarebbe coraggiosamente rifiutato di patteggiare con i francesi - allo scudo telematico mirato a silenziare le comunicazioni per motivi di sicurezza dovuti al rischio attentati. VIGIPIRATE! è il nome del programma di rinforzo delle misure di sicurezza diffuso in Francia e dintorni nei luoghi pubblici e molto frequentati. Anche in ST a Tours si vedono cartelli in giro con questa scritta. .
Ebbene, con queste immagini un po' apocalittiche ma realistiche, e qui in Belgio non si scherza, provo di nuovo a fare il numero che collega magicamente il mio cellulare ad un telefono appoggiato su un tavolo di una casa di Mezzocorona, provincia di Trento.
Funziona, e all'altro capo di quello che una volta era un filo c'è un bambino che dopo un po' di mie farneticazioni mi dice "Ma zia Serena io non sono la mamma, sono Tommaso!!!"
Ops, la zia ha fatto una gaffe.
Spero che questo non ti impedirà di venire a fare le vacanze in Turingia da solo con la zia, un giorno.
Tommaso ti adoro, con quella tua voce un po' rauca e quella parlata un po' sibilante. Quanti denti ti saranno caduti adesso? quanti ti sono ricresciuti?
Tommaso ti voglio tanto bene quando metti fine alle mie poche parole affettuose ma imbarazzate, perché mica si dice "tanti auguri" ad un bambino di 7 anni, perché dopo che mi hai detto che hai fatto la caccia al tesoro a scuola io non so più cosa dire ad un bambino a cui voglio bene ma che conosco poco in realtà, che sta a 1500 km da qui.
"Zia ti richiamo perché ora c'è un cartone animato".

lunedì 9 maggio 2016

Italia-Francia 1-1

Certo come vi dicevo un paio di messaggi fa, ci si abitua a tutto, ed è normale. Non solo, ma quando il contesto non può cambiare è addirittura auspicabile. Adattabilità, flessibilità, resilienza: sono qualità sempre più attuali per le persone (soprattutto per chi cerca lavoro!), i sistemi economici, le città.
A proposito di città resilienti, guardate cosa sta facendo Rotterdam per affrontare l'aumento del rischio di inondazione legato all'innalzamento del livello del mare:

http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=5602&fromRivDet=185

Ho letto questo articolo qualche settimana fa sul numero di Altreconomia che mi è arrivato a casa; sì, perché mi sono abbonata pure da qui!
È fatta bene la rivista, ci sono affezionata ma credo che la decisione di abbonarmi derivi soprattutto dalla mia scarsa capacità di perdere le mie abitudini italiane. E parlavo di resilienza... che per definizione è proprio la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento.

Da quando sono qui ho iniziato istintivamente a fare il gioco delle differenze. Cambiando ambiente ci si accorge subito quando qualcosa cambia, le differenze saltano all'occhio; se sono piacevoli ci si abitua presto, se lo sono meno ci si augura che prima o poi questo succeda. E io non mi sono ancora abituata ad un sacco di cose.
Il gioco delle differenze è anche uno dei soggetti di conversazione preferito dagli italiani all'estero, soprattutto da chi è arrivato da poco; anche gli spagnoli se la cavano devo dire, e direi che si lamentano dei francesi ancora di più degli italiani.
In 9 mesi - un gros bébé, come dicono qui - mi sono fatta pian piano un'idea generale della questione. È probabile che fra 9 mesi questa idea sarà diversa e darà origine ad un altro post, e un altro gros bébé verrà fuori suppongo, he he he...
Infine: per mantenere un profilo politically correct nei confronti di tutti, per non cadere nella lamentela e neppure nel delirio esterofilo vi anticipo che la partita finirà pari, come il titolo del post preannuncia.

Bidet
Questo è il primo punto che segna l'Italia sulla Francia, e il principale dei luoghi comuni sui francesi visti dagli italiani. Nonostante "bidet" sia una parola di origine francese, in Francia non se ne fa più uso. Gli italiani invece fanno fatica a farne a meno, le italiane in particolare. Dato che poi anche in Spagna il bidet è un oggetto di uso comune, resta un mistero capire cos'è successo di strano tra le Alpi e i Pirenei per farlo sparire dalle case della gente. Quando vi dicono che "è per guadagnare spazio" mentono senza pudore, perché ho visto con gli occhi di questa stessa faccia bagni vuoti così larghi da poterne ospitare tre di bidet. Ma non ce n'era neppure uno.
In 9 mesi ho visto solo due bidet, in case di italiane.

Igiene personale 
Restando in tema di luoghi comuni, le immagini che evoca la Francia negli italiani non sono di solito l'emblema di una grande igiene. Oltre all'assenza di bidet dalle case, si pensa subito alla baguette sotto il braccio - che non esiste praticamente più a dir la verità - e al diverso rapporto con l'acqua e il sapone dei francesi. Diverso, a priori non inferiore e non superiore.
Loro, non avendo il bidet, fanno una doccia tutti i giorni; ma loro, non avendo quasi mai un lavandino nei dintorni del wc, spesso non si lavano le mani dopo averlo usato.
Loro da piccoli non hanno ricevuto un'educazione completa come in Italia sulla prevenzione dentale, né adesivi anni '80 con castorini sorridenti muniti di dentoni bianchi e spazzolini. Infatti resto l'unica di ST Tours a lavarsi i denti dopo pranzo, mentre loro si stuzzicano i denti con destrezza e stecchini, senza coprirsi la bocca con una mano, e poi masticano chewing gum.
I francesi hanno un rapporto più disinvolto e dinamico tra sporco e pulito. È abbastanza normale vedere gente - ragazzi - seduti per terra; giovani - ma anche il capo del mio capo lo fa - che mettono le scarpe sui sedili in autobus e in ufficio; è molto frequente vedere colleghi con penne, banconote, chiavi, dita in bocca, per utilità quando le mani sono impegnate o come giochino nostalgico della fase orale infantile quando sono sovrapensiero. Un altro esempio di disinvoltura: oggi durante il pranzo Marc, il collega degli stecchini, ha appoggiato il cellulare sul pane.
Troppa igiene fa male e indebolisce le difese naturali; poca igiene si maschera con una spruzzata di buon profumo, e di scie profumate sono piene le rues di Francia.
Anche questo punto va all'Italia, ma di poco. Perché il profumo in fin dei conti è di solito molto buono.

Bagni pubblici
Gli italiani sono così igienici e quindi così schizzinosi che trattano i bagni pubblici come luoghi sporchi a priori. Per non contaminarsi toccano il meno possibile: le donne non si siedono sull'asse, non lo alzano, gli uomini neppure. Il risultato è che i bagni pubblici in Italia sono i più sporchi di tutti.
Assegno due punti alla Francia: uno per il rispetto mostrato dagli utenti, uno per la presenza di carta igienica e sapone che in Italia troppo spesso non trovo.
Secondo me, purtroppo da noi anche chi deve gestire il bagno cerca di averci a che fare il meno possibile.

Pane e brioches
Vincitrice indiscussa la Francia. Il burro nei dolci da forno rende magico il momento della prima colazione. Penso ai pains au chocolat e ai croissants, che qui si chiamano in generale viennoiseries, cioè "cose di Vienna". E poi pane ai semi, integrale, al mais, croccante con mollica morbida, mai asciutto. Buonissimo.
Secondo me il pane in Italia non è così buono. Noi abbiamo addirittura il pane sciapo; sarà sì per accompagnare il fantastico olio toscano, che con un pane più saporito non esprimerebbe tutto il suo profumo.
Ma per me questo non equivale al piacere essenziale e semplice di mordere una baguette tiepida mentre si cammina per strada con le borse della spesa al braccio. Baguette tenuta in mano senza fazzolettino, beninteso.

Case da fuori
Molti italiani mi dicono che l'aspetto delle città francesi è caratteristico, riconoscibile, e io sono d'accordo. C'è in generale più verde, che è anche più curato, e strade di solito più pulite, ma sono principalmente le case ad essere belle. La maggior parte delle volte le case hanno una forma di "casa" che noi ci stiamo scordando: tetti spioventi, finestre con le imposte, pochi piani. In Italia ogni tanto mi sembra di osservare la ricerca per la forma moderna nel tentativo di farla originale. Ma una casa deve accogliere e riparare, non stupire.
In Italia le brutture vecchie e nuove si moltiplicano. Cubi e parallelepipedi con linee minimaliste.
Immagino che invece in Francia ci sia una legge che impone di costruire case con criteri estetici omogenei rispetto alle altre, e rispetto soprattutto alla forma di casa tipica locale.
A Tours le case hanno i tetti di ardesia e i muri bianchi o beige. La pietra locale è un tufo pallido che i costruttori cercano di replicare anche facendo le case popolari di cemento. Questo regala alla città un'armonia che è proprio bella da vedere.
Un punto alla Francia.

Case da dentro
Eh. Che peccato. La trasandatezza che per molti aspetti si riscontra nei francesi, romanticamente négligés nei migliori nostri luoghi comuni, torna nel momento in cui i muratori devono iniziare ad occuparsi delle rifiniture interne delle case.
Qui si usa molto la carta da parati, che spesso viene dipinta e si chiama quindi "papier paint". Ho visto una tappezzeria ricoprire fili elettrici passanti lungo i muri, senza canaline, incollata pure storta. Un orrore.
Qui si usa molto la moquette, che per una settimana dopo averla distesa sarà pulita e poi mai più per i successivi vent'anni. Ma perché esiste ancora? Non è lavabile, punto. Poi quando si sporca inizia il gioco di disporre tappetini, piante e tavolini in punti strategici per coprire le macchie.
Per entrambi i tipi di rivestimento, la manutenzione è incredibilmente più complicata. Un esempio: in ST è successo che un condizionatore nel corridoio delle RH ("erre-hache" si dice, le Risorse Umane) si rompesse. Era domenica e c'è stato abbastanza tempo perché si riversasse sul pavimento acqua sufficiente per inzuppare, ad occhio, almeno 200 mq di moquette prima che qualcuno intervenisse. Il lunedì le colleghe (anche qui tutte donne all'Ufficio del Personale) hanno iniziato a lavorare circondate da quadratoni di moquette stesi ad asciugare, facendo lo slalom tra passerelle di cartone e pezzi di pavimento di cemento con strisce di colla messe a nudo. Murielle, la collega RH che mi ha aiutato per le mie faccende burocratiche internazionali, sostiene che non metteranno più la moquette perché troppo difficile da mantenere. L'avete capito alla fine, bene. Comunque 3 mesi dopo è ancora slalom.
Un punto all'Italia, non se ne parla.

Bricolage
Non a caso questa è una parola francese, e non a caso il Leroy Merlin è francese. Qui tutti si occupano da soli della manutenzione di casa e si mettono a posto la macchina.
Il mio collega Philippe, il Process Leader della metallizzazione PVD, si è costruito un cancello, il garage e una veranda. Ha piastrellato, fatto l'impianto elettrico, montato tetto e vetrate. Durante i lavori, ogni lunedì a pranzo ci teneva informati sullo stato di avanzamento della costruzione. Io capisco ancora poco del francese parlato a pranzo dai miei colleghi, ma era evidente che parlava di robe di carpenteria perché capivo ancora di meno.
Dato che tutti si fanno i lavori da soli, la conseguenza è che i prezzi degli artigiani sono altissimi e ce ne accorgiamo io e Andrea, il mio capo, che non sappiamo tenere in mano un martello.
Anche se mi capita di rimpiangere il Muratore Bergamasco quando mi trovo davanti ad evidenti "bricolate" - lavori fatti male, spesso dai privati ma talvolta anche da chi si proclama professionista - in questo campo i francesi ci battono di brutto.

Viabilità
Qui si dice che gli italiani guidino male, un luogo comune dei francesi verso di noi. Noi stessi siamo i primi a riderci su: ogni italiano quando si mette al volante diventa un po' più belva e si prepara ad una sorta di lotta per la sopravvivenza.
Per permettere un agevole svolgimento della battaglia senza quartiere che ha luogo nel traffico, i progettisti delle strade italiane hanno fatto un gran lavoro per permettere una gran fluidità delle traiettorie delle auto.
Qui in Francia invece è tutto più difficile. I progettisti sanno di avere a che fare con una popolazione di automobilisti disciplinata che adora le regole, così è un attimo divertirsi con un pizzico di sadismo e mettere apposta i bastoni.... fra le ruote. La cosa che trovo di un'esagerata malvagità è il posizionamento di zone di parcheggio alternate lungo le vie residenziali, in modo da creare uno slalom tra le macchine parcheggiate che costringe a rallentare. Non si rendono conto che le macchine rischiano di essere tamponate da chi sbaglia una curva, prende una pozza, calcola male le distanze.... ma è pericolosissimo! Certe volte davanti alla prima macchina parcheggiata sul lato mettono un bel paletto bianco, così rischi proprio di distruggerti.
Una carreggiata dritta, qui, è quasi offensiva.
Questo punto lo do all'Italia. Multa alla Francia.

venerdì 22 aprile 2016

Aggeliki


Eccomi di nuovo nuovo in una sala d'aspetto. Stavolta Parigi Orly, mi sono messa in testa di imparare anche questo percorso passando da Montparnasse. È andata bene, nel senso che sono arrivata in tempo per prendere l'aereo, anzi potevo in effetti anche farmi un giro alla tour Eiffel dato che il volo per Linate è in ritardo. Per gli amici viaggiatori: tempo di percorso = un'oretta da Montparnasse all'aeroporto, costo = un biglietto urbano di Parigi + 9,30 euro per la navetta OrlyVal che impiegando 5 minuti scarsi per l'intero tragitto costituisce il mezzo di trasporto più caro al mondo per unità di tempo.
Torno a casa con un pretesto tenero: il battesimo di Alice, la figlia di mio cugino Marco. È il primo battesimo a cui sono invitata nella storia della mia famiglia; forse i battesimi sono passati di moda come feste di famiglia, forse si preferisce celebrarli entro un nucleo famigliare intimo. Fatto sta che sto vivendo questa occasione come un piacevole ritrovo di parenti, più semplice di un matrimonio, a cui però saremo belli e ben vestiti e rilassati e sorridenti.
Parto dopo aver appena incontrato al volo Aggeliki, Angelica, la ragazza greca del mio collega italiano arrivato a gennaio, che è venuta qui in vacanza a trovarlo. Quando tornerò a Tours lei starà per tornare ad Atene, anche se è qui da poco questa è l'ultima volta che ci vediamo. È capitato a fagiolo quindi il mio errore con l'orario del treno, che mi ha fatto uscire dall'ufficio un'ora prima del dovuto.
"Che rintronata sono" è stato il mio primo pensiero; e poi "Cosa posso fare per approfittare di questo tempo in più?" è stato il secondo.
Così ho chiamato Aggeliki, e ci siamo trovate a parlare su una panchina di pietra fuori della stazione di Tours. Abbiamo solo una mezz'ora per chiacchierare e salutarci, così ci bastano due o tre frasi di convenevoli e poi si passa subito al sodo e si entra nel personale, dove si parla di progetti, amori, scorni, emozioni. Aggeliki mi stupisce quando dice che mi vedeva molto più spensierata a gennaio, quando ci siamo conosciute. Cosa mi sta preoccupando? Cosa c'è che non va?
Non le so rispondere e comincio ad esplorare motivi possibili, come il raffreddamento dei miei rapporti con la padrona di casa, che era pure venuta alla mia festa di compleanno; o l'ulteriore autospellamento di Teresa - la mia gatta nevrotica autolesionista; o il lavoro, che è faticoso e davvero poco divertente, i miei colleghi sono ancora distanti. O forse sarà che dopo 8-9 mesi mi sto abituando a stare qui e le paillettes dell'entusiasmo iniziale si sono opacizzate a causa delle piccole e grandi, benché normali, pesantezze quotidiane. Lo sapevo che non stavo trasferendomi alle Maldive, e neppure che la Francia fosse il paese giusto per me. Ma vivere nella realtà è bello soprattutto perché è vero, anche se più difficile che vivere a Serenopoli; e se si resta nella realtà ci si abitua a qualsiasi cosa.
Forse allora è proprio questo il punto: non mi sento più in vacanza. È successo.

Me ne accorgo ora parlandone con questa ragazza allegra, affettuosa, indipendente, che ama viaggiare e che forse un giorno deciderà di trasferirsi a Tours per stare vicino al suo fidanzato. Ai suoi occhi questa è un città ancora nuova, che potrebbe diventare lo scenario del suo progetto di coppia se verrà qui a vivere, di un progetto di lavoro, di un futuro ancora da scrivere. Aggeliki è sveglia e piena di buone idee. È biologa, ma si è pure già inventata un altro lavoro da fare qui: proporsi alle agenzie immobiliari per accompagnare i clienti stranieri in cerca di una casa, cosa che secondo me andrebbe alla grande dato che i francesi non se la cavano benissimo con le lingue. D'altra parte lei ne ha avuto esperienza diretta quando ha aiutato Antonio a cercare casa a Tours la prima volta che è stata qui! Grande idea, Aggeliki.

Nella realtà quindi ci si abitua a tutto, prima o poi.
Sarà la creatività che impedirà alla stanchezza della routine di averla vinta.
Mi inventerò qualcosa anch’io, ma ci penserò durante il viaggio di ritorno.

martedì 29 marzo 2016

Speciale Lavoro 2

Vacanze di Pasqua al termine e sul treno per Tours ho gli ultimi momenti di relax della settimana.
È stata settimana proprio bella, e a questo giro ho sperimentato ulteriormente la formula "ci vediamo a colazione" per ritrovare le amiche; un momento libero per forza, stretto tra il risveglio e la giornata in ufficio, che però può richiedere disponibilità ad orari indecenti. Solo per chi se la sente!
Dopo un bagno di folla tra amiche e famiglia, focaccia nel caffelatte e uova di cioccolato, ora si torna alla quotidianità delle strette di mano, dei bonjour, della gentilezza un po' sincera e un po' no che caratterizza le relazioni interpersonali tra francesi. Anche stavolta in Italia molti amici mi hanno chiesto come mi trovo con le persone, col lavoro, con la nuova vita. Dopo 8 mesi l'euforia dei primi tempi ha lasciato posto ad uno stato d'animo più moderato, ma sono contenta.

Il lavoro mi impegna molto, più che ad Agrate. Forse qui mi viene data più responsabilità, o forse ad Agrate me ne sentivo di meno pur facendo la stessa cosa. Qui non padroneggio ancora tutti gli strumenti per lavorare, i software e le procedure - i francesi adorano le procedure, lo sapevate?
Finite le ferie, in ufficio mi aspetta la solita montagna di cose da fare, anzi no un po' più grande dopo una settimana di assenza. La solita posta elettronica intasata.... in questi frangenti penso al mio ex vicino di banco Fra che aveva la Inbox sempre linda, e una determinazione ammirevole nel cancellare le mail. Invece io mi perdo un po', e non so ancora gestire tutto nelle 8 ore ma neppure in 10. Prima di partire ho fatto la "pagella", cioè un colloquio di valutazione col mio capo in cui si esamina la situazione: come mi trovo, come funziono al lavoro, come potrei migliorare. Già l'anno scorso durante il colloquio di selezione al mio capo era scappato un indizio sullo stile di lavoro a Tours: "Si inizia a lavorare intorno alle 8-8.30 al mattino e si finisce verso le 18-18.30", disse descrivendo quella che poi ho capito essere la sua giornata-tipo. Se togliamo da questo orario 45 minuti di pausa pranzo (ma a lui ne servono solo 20) si ottengono fino a 11 ore e 45 minuti  di lavoro al giorno. Ho capito a mie spese che è proprio così: se voglio concludere alcune delle cose che mi vengono chieste devo fermarmi quando in ufficio c'è calma, a partire dalle sei di sera.
Ammetto che se mi pesasse non lo farei. Ma mi pesa pensare che talvolta è necessario, e che potrebbe diventare un'abitudine finire tardi. Uno strumento con cui si mascherano le carenze organizzative e di personale di una struttura che, nonostante alcuni aspetti artigianali com'è ST Tours, riesce a cavarsela in un mercato ad alta tecnologia, che richiede investimenti importanti. Come? Forse anche limitando le assunzioni.
Io non sono pigra (non al lavoro) e certe volte trovo addirittura motivante sentirmi parte di un macchina produttiva in cui i singoli meccanismi che ne fanno parte hanno il comune obiettivo di funzionare insieme e produrre beni - oddio, che visione aziendalista...
Al colloquio col mio capo però mi trovavo al culmine di un raffreddore spossante, con un cerchio alla testa e il moccio a naso, e la mia motivazione era debole. Vedevo poco efficaci i miei tentativi di barcamenarmi tra i numerosi punti delle numerose liste di cose da fare con cui riempio la mia agenda. Così ho fatto presente la mia difficoltà organizzativa e la risposta è stata che a Tours, purtroppo, si lavora così. Glom. Con l'esperienza sarà più facile lavorare, d'accordo, ma avrò anche più cose da fare, perché oltre a quello che sto seguendo so già che devo prendermi la responsabilità di un altro paio di processi. OK, vediamola così: a Tours non ci si annoia!
Il contesto comunque permette una certa flessibilità oraria, che riduce molto gli svantaggi. Il tram che prendo per tornare a casa infatti fa orari più lunghi dei miei, e se dopo il lavoro devo vedere gli amici il gioco è fatto. Le otto di sera è tardi per smettere di lavorare, ma è giustissimo per prendere una birretta in centro o andare al cinema!
Già dal primo mese qui ho iniziato a frequentare il cinema Studio (leggere Studiò), che è un cinema d'essai ma non solo, dove si vede gente molto intellettuale e radical-chic, dove tappezzeria e moquette sono rosse, dove si trovano volantini per iniziative ed eventi molto intellettuali e radical-chic. Insomma, per i milanesi: è l'Anteo di Tours.
Comprarmi la tessera del cinema con lo sconto che il Cral dell'ST di Tours offre ai dipendenti è stato uno dei miei primi passi di ambientamento qui. E non dovrei chiamarlo Cral ma CE, Comité d'Entreprise, che ha anche una funzione di sindacato... queste finezze non mi sono ancora chiare.
La sala del CE è un posto molto ricco di spunti, peccato che sia aperta solo per un paio d'ore due volte alla settimana. Per molti aspetti è proprio come il Cral, ma non completamente.
Ci si trovano sconti per tante cose del genere spettacoli, sport, vacanze. C'è una biblioteca, che non ho ancora visitato. Organizzano gite turistico/commerciali in periodo di saldi in giro per la Francia, da prenotare mesi prima. Organizzano tornei aziendali di sport vari. A Natale hanno preparato un cesto dono per i dipendenti - inciso: non per gli interinali - con robine locali buone da bere e mangiare, e hanno organizzato una raccolta di giocattoli usati da regalare alle solite famiglie povere di cui si ricorda l'esistenza sotto le feste.
Insomma a me sembra una bancarella colorata che più che aiutare a risparmiare ti trova ulteriori modi di spendere. Forse è meglio che non sia aperto tutti i giorni.

mercoledì 23 marzo 2016

Pasqua con tuoi

Ciao a tutti,
sono di nuovo in viaggio. Non è ancora diventata un'abitudine ma devo dire che ormai mi oriento bene a Parigi Charles De Gaulle, che ho eletto a mio aeroporto preferito per i miei viaggi di ritorno in Italia. Qui è facilissimo per prendere EasyJet, e la stazione ferroviaria proprio dentro all'aeroporto a portata di due-tre rampe di scale mobili. Oggi ho provato un nuovo modo per arrivare qui da Tours, un po' più lento e scomodo ma molto meno costoso. Lo dettaglio un minimo per i miei prossimi visitatori - a proposito: chi viene? guardate che è quasi primavera! In pratica invece del TGV diretto Tours-CDG si prende il treno per Parigi; poi da Montparnasse, dove si arriva, si va con metropolitana + RER B fino all'aeroporto. Super!

Oggi che è passato solo un giorno da ieri, la seconda edizione degli attentati ambientata a Bruxelles, sono in un aeroporto proprio come 36 ore fa quelli che sono morti. E sono tranquilla. Ci stiamo già abituando? Sbaglio a mettere il punto interrogativo perché la domanda è puramente retorica. Sì che ci stiamo abituando: la gente si muove normalmente qui, parla al telefono annoiata aspettando l'imbarco, lavora al pc o gioca con i bambini per riempire la loro attesa. Non vedo e non sento messaggi d'allarme diffusi. Forse anche altri hanno sentito un brivido sotto al cappotto vedendo tre mitra spianati in mano ai militarini stazzati non più che ventenni che girellano nell'atrio, tra le scale mobili e i baretti de La Brioche Dorée che profumano di croissants al burro a tutte le ore.

Oggi in aeroporto ho visto quattro clochards che abitano qui, che non avevo mai notato prima. La loro casa è una zona delle aree di attesa, e un carrello portabagagli con sacchetti e bottiglie d'acqua. Purtroppo attirano meno attenzione dei due passerotti che sono entrati qui chissà come, e anche loro qui sono rimasti, perdendo la strada che stavano facendo. E infatti i passerotti li fotografano tutti, e io pure. Che questo aeroporto possa essere un riparo abbastanza caldo e protetto per tutti loro, finché non ritroveranno la loro strada.

Tanti come me tornano a casa per le vacanze di Pasqua. Natale con i tuoi e pure Pasqua, se a casa ci sono tre nipotini da stropicciare e spupazzare quasi per certo contro la loro volontà, dato che la zia Serena non la vedono mai e non hanno molta confidenza. Tommaso sta mettendo i denti e ha due mezze palette là sopra, sta lasciando la sua faccia da bambino insieme ai denti da latte. Penso al giorno in cui è nato: ho ricevuto il messaggio di mio fratello mentre stavo seguendo la ristrutturazione della mia casa di Milano.
Nella casa ristrutturata ora ci dorme un'altra persona, e i sogni e i progetti confusi e mai ben definiti in realtà sono rimasti anche anche loro indietro. Lacrimina. Oh, ma insomma, stasera però ci dormo io!

Buon viaggio a tutti, un abbraccio 


Serena


sabato 27 febbraio 2016

Tango a Tours

Forse non tutti sanno che... anche a Tours si balla tango. Veramente poco in confronto a Milano, ma c'è - e ancora grazie che c'è - un'associazione che organizza i corsi e una volta al mese una milonga, cioè una serata di ballo in un locale. D'estate fanno anche le serate all'aperto nella famosa Guinguette, il bar sulla Loira che costituisce una delle motivazioni del mio stare a Tours ed è tappa fissa per le uscite da giugno a settembre. Non vedo l'ora di ballare sotto i salici piangenti, Autan a portata di mano e birretta venduta in bicchieri di plastica a rendere - su "consigne" - che se li riporti al bar ti restituiscono un euro. Insomma questa bella associazione tenuta in piedi da un gruppo di giovani all'insegna dell'autogestione si procura i deejay - o Tj, "tango deejay" - qua e là, contando sul passaparola e sulla buona volontà. E così ecco che ben due delle serate di ballo mensili tanto attese sono state rovinate da dei deejay più ispirati dal rock e dal lounge che dal tango, con nessun riguardo per i Grandi Maestri del passato e neppure per il pubblico di ballerini che aspettavano da un mese la serata. Io ero tra loro. Fumante di rabbia e frustrazione.
Questo tipo di serata qui viene chiamato "Milonga Alternativa". Data la proverbiale rigidità dei francesi, in una serata alternativa non si può ascoltare un tango normale. Però secondo me c'è un limite a tutto, e quando il deejay della prima serata ha messo un pezzo degli U2 mi sono alzata e sono andata nella sala accanto dove facevano salsa: per ballare e veder ballare qualcosa di coerente con la musica. Belli gli U2, eh, ma quelli me li ascolto a casa mia e sono certa che anche loro si sarebbero rivoltati nelle loro .... mmmhhh.... poltrone a Dublino, ad esempio, se avessero visto noi ballare la loro canzone con le sacade e gli incroci. Eh no.
E il deejay, imperterrito, passava ai Pink Floyd passando per i Rolling Stones incurante del fatto che fossero rimaste a malapena 2-3 coppie in pista a tentare di conciliare passi tradizionali con ritmi alternativi. Era ottobre, io frequentavo da poco l'ambiente del tango e non avevo creduto a chi mi aveva sconsigliato la serata. Segno che non era la prima volta che questo deejay sconsiderato faceva danni.

E la seconda volta? Era uno dei giorni tra Natale e Capodanno in cui si esce volentieri con gli amici anche se fa freddo, gran parte della città è in ferie e il ritmo di vita è morbido, chi è tornato dalle vacanze (io) riprende i contatti con chi è rimasto in città nel calore dei locali e dei sorrisi delle feste. In milonga tanta voglia di ballare, donne in velluto nero e tacchi, sorrisi abbracci e sbrilluccichi natalizi qua e là.
E tu, Tj dal pregevole incarico di musicare una serata con queste emozioni e queste premesse nell'aria, ti permetti di mettere robaccia? Non erano gli U2 ma erano pezzi che non c'entravano, o tanghi assurdi e difficili da ballare, pezzi inascoltabili e aggressivi che tuttavia senza dubbio testimoniavano il grande lavoro di ricerca e l'originalità del deejay. Ecco, quella volta non c'era una sala accanto dove ballare salsa, così mi sono di nuovo alzata ma per andare dal deejay a chiedere di mettere per favore qualcosa di più classico. E lui, molto cortese: "Mi spiace ma non si può, la scaletta è questa e ormai ci sono SOLO DIECI PEZZI PRIMA DELLA FINE". Dieci pezzi = oltre mezz'ora di musica: dov'è la buona ragione per mettere altri dieci pezzi brutti?
Nel mio sistema di riferimento questo impedimento era fittizio e ingiustificato, ma è certo che, se i francesi sono rigidi, io non sono certo flessibile. Così quella sera sono anche andata a protestare con gli organizzatori, e questi bravi ragazzi gentilmente mi hanno spiegato che non hanno i budget delle milonghe di Parigi e che "lasciano spazio a tutti per esprimersi". Ecco finalmente la liberté e l'égalité, accanto alla mia rigidité: perché io in effetti non lo farei. E aggiungono che se voglio c'è spazio anche per me, se mai vorrò cimentarmi come musicalizador: e be', perché no, in futuro... potrebbe essere divertente provare.
Passa una settimana e ad una pratica, cioè una serata informale di ballo, incontro il presidente dell'associazione, uno dei giovani gentilissimi che avevano accolto il mio sfogo pochi giorni prima. Hugue mi dice che sono messi male perché per il 19 febbraio hanno programmato una milonga ma non hanno il deejay: non è che io sarei disponibile?
Glom.
Paura. Oddio in che pasticcio mi sono messa.
Opportunità. Un'occasione irripetibile, a Milano impossibile.
Sfida. Non ho mai messo la musica neppure in una serata tra amici, ma ho un mese di tempo per prepararmi.
Dico qualcosa tipo "Madonna, ma siete sicuri??" ma lui non fa una piega. Eio accetto.

Un mese di preparazione, di letture in internet, di consigli in chat con i miei amici Tj di Milano Ale Mazza e Ausländer, che ringrazio infinitamente. Le serate passate ascoltando i pezzi su youtube sono diventate sempre più frequenti con l'avvicinarsi della data fatidica, e ad un certo punto ho iniziato a creare le mie tande, gruppi di 3-4 brani dello stesso tipo di musica. TTVTTM, sembra un acronimo per esprimere discretamente i propri sentimenti sul diario di scuola, ed invece indica la classica struttura alternata ed equilibrata di tande di tanghi, vals e milonghe che ho usato per montare la mia playlist di 6 ore di musica.
È stato bello immaginare le sensazioni provocate nei ballerini da una certa sequenza di pezzi, e cercare di metterli in successione con armonia. Non è stato sempre facile trovare brani abbastanza omogenei, ma anche sufficientemente vari, per comporre le tande. 

La parte più divertente è stata la scelta delle cortine, cioè gli stacchi musicali tra una tanda e la successiva. Lì il deejay ha carta bianca, ed è stato un bel gioco scegliere brani per introdurre l'atmosfera della tanda che seguiva, o canzoni divertenti per spezzare la tensione drammatica che ogni tanto si crea in milonga. Ho usato canzoni che mi piacciono, soprattutto italiane e cantate da donne; pezzi che mi ispirano, che sono stati significativi per me e che mi hanno emozionato ascoltandoli a biodanza. La mia piccola firma alla serata. Grazie alla Provvidenza, neppure dal punto di vista tecnico ho avuto particolari problemi perché giusto due settimane prima della serata al lavoro mi hanno dato un pc portatile da portarmi in trasferta ad Agrate. È stato fondamentale per impratichirmi con Windows Media Player, l'ho tenuto anche per tutta la settimana successiva alla missione fingendo di dimenticarmelo a casa, per poterlo usare in milonga.

Finché... arriva il 19 febbraio. Ore 19, La Fabrica, rue Giraudeau.
Che paura quella sera. Come sempre avviene qui, l'ambiente è abbastanza informale, le persone sono accoglienti e ti sorridono. Ma io, per mettermi in leggera supplementare difficoltà, quella sera arrivo al locale un po' tardi, in bici trafelata, al lavoro non sono riuscita ad uscire all'ora che volevo e poi a casa mi sono voluta docciare a tutti i costi, l'agitazione mi aveva fatto sudare.
Ho a disposizione solo 15 minuti invece di 30 per fare le prove tecniche di suono. Devo dire che sono bastati, anche se ero un po' in ansia di fronte a quel coso pieno di lucine il tizio del locale non mi ha lasciato dubbi: "Del mixer non toccare nient'altro che la leva del volume, se no incasini tutto: chiaro??"

La serata si svolge bene, non c'è moltissima gente ma neppure il locale è enorme, e la pista è bella piena già con una quindicina di coppie. Lo so perché durante la serata mi sono scritta tutto! Ci sono tanti momenti vuoti per una Tj alle prime armi arrivata con la playlist già pronta (cosa che i veri deejay non fanno mai), che quindi durante la serata deve intervenire solo ogni 10-15 minuti per gestire il passaggio tra la fine della cortina e l'apertura della tanda seguente; così mentre stavo molto professionalmente in attesa di compiere il mio dovere mi sono annotata tanti dettagli: le reazioni dei ballerini, le sensazioni che dava la musica, pezzi da togliere o da riproporre le prossime volte, se ce ne saranno.
La prima cortina è "Parole di burro", dolce dolce. Qualcuno accenna un lento ma poi si separano, allora sfumo Carmen Consoli e riparte il bandonéon. La seconda cortina è "Parole, parole": la voce di Mina fa voltare verso di me Chiara, la mia amica tanguera fiorentina che vive qui da 20 anni, che nel frattempo è arrivata in milonga a sostenermi nell'impresa, e naturalmente per ballare. Sorride e alza il pollice in segno di approvazione, io gioisco. E poi Ornella Vanoni, Patty Pravo, Malika Ayane, ma anche Barry White, Eddie Vedder, Tenco. Alcune cortine fanno spuntare sorrisi anche sui volti dei ballerini in pista, volti che si guardano dopo aver danzato insieme delle emozioni, abbracciati. Alcune cortine li fanno ballare ancora, allora non sfumo la canzone e gli permetto di godersi fino in fondo quel piccolo piacere extra.

Guardo la pista seduta sul mio sgabello alto, mi godo la serata e la musica anche se ballo poco, ma stavolta è diverso. Quando ballo mi sento strana, non mi abbandono completamente ma ascolto la musica molto di più. Stavolta in un certo senso sono io che faccio ballare il ballerino che mi fa ballare, dato che ho scelto io la musica! E quando non ballo sono contenta lo stesso, penso che il piacere degli altri è il mio piacere, ed è una gioia sentire di avere in mano gli strumenti per fare una cosa bella da offrire a persone venute nello stesso posto e nello stesso momento per celebrare la passione che condividono. Saranno state 50 persone al massimo gli ingressi di quella sera, molte coppie arrivavano da fuori, e tra Poitiers e Le Mans molti hanno fatto diverse decine di chilometri per venire alla milonga del 19 febbraio a La Fabrica.

Qualcuno passa dalla mia postazione e arrivano i primi complimenti per la musica, non solo da chi sa che è la mia prima volta. Approvano le scelte di tango classiche, ma in particolare: che carine le cortine! E io gongolavo, ragazzi. Una ragazza dell'associazione, pour parler, si mette addirittura a fantasticare di un luminoso futuro da professionista della consolle: chissà, un giorno Serena "La Pro" sarà ricercatissima nelle milonghe di Parigi... ridiamo insieme al pensiero, ma in effetti suona bene: et voilà, per il nome d'arte è fatta.

Ma lo volete sapere qual è stata la soddisfazione più grande di tutte, la ciliegina sulla torta? Mi sono sentita veramente molto fiera di me stessa quando ho visto ballare il nostro deejay appassionato degli U2 sulle note di "Guarda che luna", "Bem leve" e "I'm your man". Alla fine mi ha ringraziato.
E io sono tornata a casa F E L I C E.