lunedì 30 dicembre 2019

Mogli e buoi

Da quando conosco Carlo, l'ho sempre sentito dire che non ce la fa più a restare in Francia, che se fosse stato per lui sarebbe già tornato in Italia da tanto tempo.
A Tours ha due figlie grandi, dei nipotini, una casa, una pensione che gli permette di tornare in Italia praticamente ogni mese e vorrebbe addirittura un camper per poter essere ancora più libero di fare e rifare questo viaggio.
Carlo è un uomo che si è fatto da solo, e più volte. Ha imparato il francese venendo a Tours dal Sud più di 40 anni fa, da giovane uomo separato in cerca di una nuova vita. Ha fatto tanti lavori diversi, ha aperto un'officina e lavorato come orologiaio, conosce tantissima gente e continua a sostenere che con gli italiani, lui, sta meglio.
Non solo: da quando lo conosco, Carlo dice che mai più avrà una relazione con una donna francese: "Mogli e buoi dei paesi tuoi", lo sappiamo tutti e Carlo ne sostiene la veridicità, come se fosse molto più di una frase fatta.
 
Quando la mia bellissima storia con Lionel ha cominciato a dare segni di cedimento, ho voluto capire meglio il discorso di Carlo sperando di trovare una soluzione al mio problema, una via per avvicinarmi di più alla mentalità di un francese che io avevo inizialmente definito "atipico" da quanto lo trovassi sorprendente e diverso dagli altri francesi: divertente, schietto, attento alla sostanza più che alla forma e senza figli a 46 anni.
Come al solito, parlando di tratti tipici nazionali è impossibile non generalizzare, e allora smettiamo di temere gli stereotipi. Categorie mentali profondamente ancorate in noi, sono molto comodi quando servono a darci elementi per muoverci più facilmente in un orizzonte complesso, ma bisogna saperli accantonare non appena l'esperienza diretta ce lo permette.
Prima di conoscere un po' i francesi, ce li immaginiamo con baschetto, baffetti e baguette sotto il braccio; prima di conoscere un po' l'Italia, i francesi se la immaginano un paese dove fa bel tempo, dove la gente gestiscola e parla ad alta voce.
I luoghi comuni hanno sempre un fondo di verità, per quanto parziale. I proverbi ne sono forse una versione più elaborata e filtrata dalla saggezza popolare, riuscendo a fornire una risposta immediata al bisogno di semplificare la realtà, per capirla e capirci.
 
Sotto l'influenza di una di quelle domande da cento milioni di euri che si presentano a ciascuno di noi prima o poi ("perché sono qui?"), mentre la mia relazione era già da mesi arrivata al capolinea, ho cominciato a pensare al significato del proverbio che parla di mogli, buoi e paesi.
Sulle mogli il messaggio sembra chiaro, Carlo docet. I codici affettivi e comportamentali acquisiti in famiglia dipendono anche dalla cultura di un Paese, e possono essere così radicati e diversi da giustificare anche grosse difficoltà di comunicazione. Non sarà vero per tutti ma lo è per molti, un vero luogo comune.
E i buoi? ci avevate mai pensato ai buoi?

Certamente i buoi servono in primo luogo a fare la rima fondamentale per far stare in piedi il proverbio.
E fin qui.... eh, Luisito???
Possiamo vedere i buoi come la fonte di sostentamento, il mestiere, il modo in cui ci si procura da vivere. Avere un lavoro in Francia o fare un mestiere specifico di un altro Paese, come il torero, per un italiano potrebbe quindi essere anti-proverbiale. Esistono di certo mille controesempi, siamo d'accordo, ma qui non parliamo delle eccezioni che confermano la regola. Sto proprio cercando, se esiste, la regola, una regola.
I buoi potrebbero anche rappresentare le persone con cui si passare la giornata lavorativa (e non) e allora, escludendo i partner che il proverbio menziona in maniera esplicita, penso ai colleghi e agli amici. Quanta fatica costa certe volte farsi capire, le sfumature di un discorso non sono sempre traducibili e anzi meglio non voler aggiungere sfumature in una lingua che non è la propria per evitare malintesi. Meglio essere chiari, il più possibile, con il rischio di appiattire il discorso ma per lo meno farsi capire.
Infine, ho pensato che chi non ha ancora abbandonato un'alimentazione carnivora i buoi se li può anche mangiare, quindi potrebbero essere simbolo del cibo, che nutrendoci andrà a costituire la sostanza stessa del nostro corpo.
Allora siamo italiani anche perché mangiamo la pasta? Forse è proprio così e la composizione del nostro corpo ne porterebbe le prove: un Bioarcheologo potrebbe dircelo con l'analisi della composizione dei resti umani, facendo ipotesi sull'alimentazione delle popolazioni e i loro movimenti migratori.

Altri si sono applicati al problema on line, qui una discussione interessante: https://forum.wordreference.com/threads/mogli-e-buoi-dei-paesi-tuoi.85760/
dove ho trovato una delle riflessioni che preferisco.
"I tuoi affetti, le tue cose più care, quelle con cui devi convivere per tutta la vita, fai in modo che ti siano familiari, che non ti siano estranei e che non ti riservino sorprese. Questo ti renderà la vita più semplice."
Lontano da casa, ci si dovrebbe andare giusto per le vacanze.

 

mercoledì 30 gennaio 2019

I buoni propositi

31 dicembre: una giornata particolare per molti, che ispira riflessioni e bilanci di tono variabile dall'ansiogeno al rassicurante. I pensieri scomodi si attenuano nei preparativi per il veglione, in cucina e nei negozi di vestiti alla ricerca dell'abitino giusto per celebrare come si deve il transito da un anno all'altro.
Abbiamo tempo fino a mezzanotte per realizzare i buoni propositi rimasti in canna per un anno. Se si tratta di iniziare ad usare l'abbonamento open della palestra OK, è troppo tardi. Se invece vi siete promessi di iniziare a suonare la tromba che avete comprato apposta per imparare già un anno fa, o di iniziare ad fare un'attività fisica con costanza, siete ancora in tempo! Io su questo me la cavo perché ho iniziato entrambe le cose qualche settimana fa.
E visto che da tanto tempo non mi interessa nemmeno più cercare un vestito per il veglione, posso usare il 31 per pensare ai buoni propositi per l'anno nuovo.

(...)
Come tante altre volte, il treno arrivato a destinazione non mi lascia il tempo di finire il post che stavo scrivendo. Sapeste quante bozze sono iniziate in treno in attesa di una fine. Tant pis, come si dice qui; tanto peggio, cosi' è, non c'è niente da fare. Ma la riflessione è andata avanti e se riesco a finire il post di capodanno prima dell'inizio di febbbraio sono anche contenta! Che poi va anche bene perché in Francia, Paese delle regole e delle buone maniere, ci si fanno gli auguri di buon anno fino al 31 gennaio. Tant pis.
Il 31 dicembre, quindi: una porta verso il cuore dell'inverno, uno scalino che si può solo salire, uno dei tanti simboli del tempo che passa.
A biodanza ho imparato il potere dei simboli, toccando con mano il loro effetto su di me, quindi da alcuni anni la sera del 31 trovo un sistema per sancire un passaggio importante. L'ultimo 31 dicembre passato a Milano, 2014, ero a casa con un'amica ed alle soglie del mio 40esimo compleanno. I pensieri che già mi stavano girando in testa erano diventati ancora più confusi e insistenti dopo la notizia che un ex-fidanzato aveva avuto un figlio. Un cocktail esplosivo che un paio di settimane dopo mi ha fatto diventare bionda! E con la primavera ha dato il via alla ricerca di un lavoro all'estero.
Bene, quella sera ho eseguito con la mia amica un rituale di passaggio dall'anno vecchio a quello nuovo piantando dei fagioli in un vaso pieno di terra. Quei fagioli rappresentavano i nostri buoni propositi, destinati a diventare concreti come piantine e crescere grazie alle nostre cure e ad un impegno costante.
E infatti. Nonostante poco tempo dopo quelle del mio vaso si siano seccate molto presto, il risultato si è visto, che ci si creda o no: cinque mesi dopo ero a Tours a fare il colloquio.
La forza del simbolo secondo me sta nell'impronta che lascia nell'immaginazione dell'individuo nell'istante in cui diventa rappresentazione di altro. Il simbolo lascia un segno sotto forma di un'intuizione, ci suggerisce nuove idee.
L'anno dopo la sera del 31 ero a Tours. Ho di nuovo pensato di fare un gioco con i fagioli, ero con amici e senza vasi per cui ho inventato un gioco che prevedeva di dedicare un fagiolo ad ogni cosa nuova da mettere nell'anno nuovo. Poi a ciò che volevamo rimanesse con noi, poi a ciò che volevamo lasciare nell'anno vecchio, per ogni cosa un fagiolo da prendere dal sacchetto e posare nella propria tazzina o in quella al centro del tavolo, per i fagioli da lasciare dietro di noi. Questi poveri ultimi fagioli alla fine del gioco sono stati lanciati nella Loira con grandi risate e addii per cio' che non ci serviva più.

Su di me il giochino dei fagioli ha tanto potere: se non nella realizzazione degli impegni che ho preso, perché la costanza non è la mia migliore virtù, almeno nel ricordarli a lungo. E ogni anno ho voglia di rifarlo aggiungendo varianti.
Quest'anno la variante è stata che... non ho fatto il gioco. Un litigio capitato male proprio il 31 mi ha spento l'entusiasmo, ma non è detto che per questo il simbolo non lavori dentro di me, anzi. Attira altre fonti di ispirazione che i fagioli : ad esempio, questo articolo molto piacevole. Qualche scienziato che ha studiato il problema ha stabilito che la maggior parte dei buoni propositi non si realizza mai, quindi tanto vale fissarsene uno, massimo due, per evitare la frustrazione di vedere i buoni propositi ripetersi da un anno all'altro!! Non ci voleva un genio, ma giusto qualcuno che ce lo dicesse ad alta voce.
Buoni propositi, good resolutions, bonnes résolutions.
Ed adesso che è passato un mese, che a Rochecorbon si sta già preparando la sfilata di Carnevale, che i Giorni della Merla stanno annunciando la lunga discesa verso la primavera.... cosa ne è stato dei vostri? Perché io quest'anno non c'entro. Io non ho giocato coi fagioli. In pratica, ho già smesso di correre e la tromba è di nuovo posata nella valigetta.
Attenzione, ci sono solo altri 11 mesi prima della prossima frustrazione.

Mi è venuta un'idea, ispirata da Jacki Zehner. "I love taking the time to reflect on the year in terms of goals achieved".
E se invece di guardare nell'anno che abbiamo davanti per trovare i buoni propositi che ci opprimeranno e ci faranno nascere sensi di colpa, guardassimo indietro agli obiettivi raggiunti? Anche se non erano i nostri obiettivi di partenza. Pensiamo a quanti cambiamenti che ci sono stati durante l'anno, alle piccole e grandi evoluzioni, ricercate o no.
E se invece di parlare di buoni propositi parlassimo di ricette imparate? di vicini di casa trasformati in amici? di timidezze superate? di nuove piacevoli abitudini? di limiti dimenticati? Sarebbe un bilancio molto più incoraggiante e alla fine passeremmo il 31 complimentandoci con noi stessi con grandi pacche sulle spalle.
Quest'anno un'amica mi ha insegnato a preparare il kefir d'acqua. Un anno fa non sapevo neanche che esistesse, adesso lo bevo al mattino.
L'anno nuovo, comunque, si riempirà come vorrà lui e certo ci succederà qualcosa di buono e bello che ci farà assaporare l'anno passato.
E poi chissà che senza l'ansia di raggiungere una meta prefissata, con calma non si arrivi a concludere qualcosa sul serio pure con la tromba. Con la corsa non ci credo più.

Auguri!



venerdì 2 novembre 2018

Tre anni e tre mesi


Una settimana fa mi telefonano al lavoro due colleghi di Agrate - fan del blog ;) - che per fatalità avevano sbagliato numero e sono capitati su mio: bella coincidenza, anche se ormai so che le coincidenze non esistono.
Abbiamo fatto due chiacchiere, mi hanno chiesto della mia vita in Francia, dei miei gatti, della mia neo-carriera da DJ di tango... e infine mi hanno chiesto del blog e mi sono sentita promettere che avrei ricominciato a scrivere. E mi sono vista pensare a cosa scrivere, trovando un certo vuoto. Ma il vuoto è una scusa.

E' PASSATO QUASI UN ANNO SENZA BLOG??
Si'.
Perché hai smesso di scrivere?
Perché.
Cos'è successo in questo anno?
Delle cose.

Meno amici, più fidanzato, più casa, meno cinema, meno lavoro, più tango DJ. Meno Italia, più capelli, meno bicicletta, meno pains au chocolat, più vegan. Meno Milano, meno Tours, più Rochecorbon, che è un paesino delizioso che vi invito subito a guardare.

Casa nuova, quindi, a Rochecorbon che è alle porte di Tours ed è pure collegata alla città con il bus. 3000 abitanti, tanto verde, la Loira a 100 metri da casa e i vigneti di Vouvray a 150. Grilli e rane di notte d'estate, odore di caminetto tornando a casa stasera.
A casa c'è di nuovo una scala con cui la gatta Sandra ha fatto conoscenza a modo suo. Di nuovo travi a vista ma meno, qualche muro in tufo, casa meno antica di quella secentesca a Tours centro, ma con molto charme e soprattutto isolata come si deve. In affitto, aspettando il momento in cui saro' pronta mentalmente a vendere quella di Milano.

Sono tornata poco in Italia quest'anno. L'esistenza del Fidanzato Francese - nonostante il fatto che terrebbe le micie in mia assenza rendendomi più facile partire - limita i miei spostamenti o piuttosto io mi comporto come se fosse cosi'. Che poi qui ogni tanto rischiamo di tirarci i piatti dietro... quando mi vedrete tornare più spesso saprete perché :)

Ho cominciato a far crescere i capelli un annetto fa e ora sono di nuovo riccia, sui toni del grigio si' ma metto una fascia nei capelli che mi permette di sdrammatizzare ed evitare il look trasandato. Finché qualcuno non mi chiederà se ho appena finito di pulire casa.
Vado poco in bici, perché Rochecorbon è più lontana dal lavoro. Anche questa è una bella scusa. Di questo passo la bici si arrugginisce e gli addominali pure.

Da più di un anno cerco di diventare vegana. Non dovrebbe essere un processo continuo ma un passaggio tra un prima e un dopo. E invece... ora capisco bene quelli che non riescono a smettere di fumare. Nel 2010 ci avevo messo un attimo a decidere di rinunciare a carne e pesce, ma il passo successivo mi rimane molto più difficile. Non è un problema di convinzione ma di risoluzione: è vero che non faccio più cene con gli amici a base di vino e formaggio e mi sono tolta dal gruppo dei pains au chocolat del venerdi', almeno questo.
In quanto a determinazione, un altro bell'esempio è la tromba che ho comprato un anno e mezzo fa per imparare a suonarla, e che è rimasta nella sua custodia fino a... ieri! Ebbene, in 20 minuti di esercizio ho suonato do-re-mi-fa-sol, grande soddisfazione. Non ci vorrebbe proprio che una volta arrivata al do successivo la rimetta nella custodia per altri 6 mesi.
Il tedesco pure è rimasto li' in sospeso... iniziato quasi due anni fa, la frase più complessa che so dire tuttora l'ho imparata leggendola sui finestrini dei treni, in Italia. Keine gegenstaende aus dem fenstern werfen. Vi lascio controllare l'ortografia, io passo.

A proposito di ortografia, da un paio d'anni ho scoperto che in francese ci vuole uno spazio prima del punto esclamativo e in generale dei segni d'interpunzione fatti da più di un segno (: ! ? ;) . Inizialmente ero orripilata, poi mi sono talmente abituata che ormai mi viene naturale metterlo pure in italiano : ecco due esempi !

Una cosa che in tutto questo tempo non è cambiata : dopo tre anni e tre mesi che sto in Francia - proprio oggi! - mi scoccio ancora se per salutarmi mi impongono di stringere la mano o di dare i bacini. Questa intolleranza non passerà MAI. Certo con gli anni ho sviluppato una frase a prova di bomba, adesso dico "Scusami, non sono francese e nel mio Paese non ci si saluta cosi'" ma invece che comprensione ricevo occhiate incredule e spesso anche l'osservazione "Eppure gli Italiani sono un popolo mediterraneo quindi inclini al contatto". Si' ma non con te che sei francese e ti metti l'auriculaire (=dito mignolo) nelle orecchie, potrei rispondere.
Finora l'ho solo pensato, ma a forza di trattenermi e incassare cliché mi aumenta l'intolleranza. Grrr...

I miei colleghi italiani mi hanno appena detto che ad Agrate stanno assumendo di nuovo. Mah. Anche questa sembra una coincidenza!

sabato 30 dicembre 2017

Natale 2017

Sto tornando a casa dopo le vacanze di Natale in Italia, per la terza volta dal mio trasferimento a Tours. Sono diventata più brava ad organizzare il viaggio: cerco i voli per Milano e Genova da Parigi, Nantes e Poitiers, vado in aeroporto in treno, autobus o con i "covoiturage" di Blablacar.
Avendo una scelta più ampia spesso riesco a fare degli incastri notevoli di orari e a risparmiare, ma altre volte mi va un po' meno bene. Come questa: dopo aver prenotato ad un prezzaccio il volo Nantes-Milano di domenica alle 9.30 di mattina - vigilia di Natale, 44 euro invece che 150 da Parigi - non ho trovato nessun mezzo per arrivare all'aeroporto il 24 in tempo per il volo e così ho dovuto partire la sera prima da Tours e dormire a Nantes. Ho pure mangiato male quella sera: dato che i tre ristoranti veggie di Nantes che mi ero segnata erano chiusi, ho scelto un ristorante biologico vegan-friendly che a cena propone soltanto tapas, sotto forma di salsine varie da spalmare sul pane. 25 euro per una specie di merenda all'aglio, perdendo ogni voglia di bruschetta per i prossimi mesi.
Dopo queste peripezie sono arrivata a Milano: un giretto per gli ultimi regali, l'incontro casuale da Lush con Angelica, amica milanese in Portogallo da 6 anni, pizza da Spontini per dimenticare la cena precedente e poi via in treno con mia sorella verso il Trentino, verso casa di nostro fratello.

È il mio quarantaduesimo Natale passato in famiglia, sempre con i miei genitori e Chiara. Per Dario le cose sono cambiate da quando è sposato con una ragazza sarda, a Natale vanno a Porto Torres dalla famiglia di lei che non vedono spesso. Quest'anno tuttavia a causa dei loro turni in ospedale non sono potuti partire, così si è deciso che saremmo stati noi a raggiungerli a Mezzocorona: ebbene, finalmente un Natale con i nipotini!
Tommaso, Mattia e Marta hanno 8, 6 e 4 anni: a decenni di distanza dalla mia infanzia, ho rivissuto con loro i momenti di fibrillazione in attesa dell'arrivo di Babbo Natale, ritrovando l'emozione nei loro occhioni e nei sorrisi con i denti da latte.
Ma la sorpresa è toccata anche a me la sera del 24 quando, dopo cena, nel bel mezzo di un cartone animato, un suono debole di campanellini proveniente da dietro la porta d'ingresso mi ha dato un brivido. Presa alla sprovvista, ho avuto un attimo di smarrimento... Era un piano organizzato da mia cognata con l'aiuto di mio papà; io sapevo solo che sarebbe successo qualcosa per l'arrivo dei regali, dato che tutti gli anni Dario e Claudia organizzano qualcosa di semi-realistico per mantenere viva la leggenda nei loro bimbi. Essendo arrivata solo da un paio d'ore non conoscevo di preciso il programma di quest'anno, ed è stato meglio così perché per quei due secondi ci sono cascata!!! A quel punto non mi è costato molto mantenere l'espressione sbalordita spontanea del primo istante, che se avessi voluto farla apposta non avrebbe potuto essere più autentica.
I miei nipotini quest'anno tenevano più del solito a vedere Babbo Natale con i loro occhi, in seguito alle inquietanti rivelazioni della cuginetta della Sardegna che da tempo ha capito tutto (le femmine sono più sgamate). Infatti Zenia, 8 anni, che come i suoi cugini trentini ha potuto vedere più volte Babbo Natale nella sua vita grazie all'impegno degli uomini della sua famiglia - anche mio fratello in passato si è mascherato - l'ultima volta si è accorta della montatura ("perché Babbo Natale ha le scarpe e l'orologio del papà???") ed ora sta facendo vacillare le certezze dei miei nipoti. Soprattutto quelle di Tommaso, che sostiene fermamente l'esistenza di Babbo Natale, ma essendo un bambino con una gran voglia di capire si trova in difficoltà. Ho vissuto un momento difficile quando mi ha chiesto "zia, tu l'hai mai visto?", tra il non volergli mentire ma nemmeno rovinare la bellezza dei sogni che i suoi genitori gli stanno preservando - o fabbricando - ancora con tanta cura. Gli ho detto semplicemente di no e per fortuna gli è bastato. In realtà mi sa che sull'argomento non stia cercando veramente tutte le risposte: lo capisco, non è facile rinunciare alle favole.

Questa volta non è andata come i miei nipotini speravano. In effetti Tommaso è troppo grande per non riconoscere suo padre o il nonno dietro un costume rosso e una barba bianca; e poi ora i bimbi sono tutti in allerta, alla ricerca di prove per smentire Zenia. Così quando i campanellini hanno taciuto e abbiamo aperto la porta, Babbo Natale era già andato via lasciando tre sacchi pieni di regali sul pianerottolo.
Ci sarebbe voluto un Babbo Natale esterno: se servirà ancora ce lo affitteremo l'anno prossimo.

Sono stata con loro quattro giorni, passando tanto tempo insieme ai bambini e soprattutto giocando. Non li vedevo da maggio. Da due anni, ogni volta che ci vediamo spunta l'argomento "Francia": Tommaso e Mattia sono incuriositi dal fatto che la zia Serena viva in un altro Paese che non sanno dove sia ma che inizia piano piano a prendere forma nelle loro menti. Conoscono la tour Eiffel, che chiamano "torre di Parigi": me lo sono segnato mentalmente, così se un giorno vorranno venire a trovarmi avrò un'alternativa già pronta a Disneyland!
Loro che alle elementari stanno imparando tedesco, già da un po' mi chiedono di insegnargli delle parole di francese; ci vediamo così poco che da una volta all'altra non se le ricordano, ma qualcosa mi dice che forse stavolta sarà diverso. Un pomeriggio abbiamo giocato a Scarabeo, perfetto per Mattia che ha appena imparato a scrivere. Ad un certo punto Tommaso, che aveva già tentato inutilmente di far passare per validi nomi assurdi di personaggi dei suoi librini, ha composto "NOEL", ed io bella fiera: "bravo Tommaso, questa parola va bene!"
Père Noël però non gliel'ho insegnato.

venerdì 14 luglio 2017

Il francese, i francesi

Rosemarie, una mia amica tedesca in pensione che ha insegnato per anni nelle scuole della Touraine, dice che i francesi sono come dei bambini: sono ribelli, pieni di sé, fanno di testa loro, studiano a memoria senza capire, sono suscettibili... ad esempio.
Li ha osservati bambini a scuola, senza ottenere molte soddisfazioni nell'insegnar loro tedesco, e in effetti uno dei luoghi comuni diffuso anche tra i francesi è che non sanno le lingue straniere. Un francese è diventato suo marito, ma non è andata benissimo perché dopo un po' si è ritrovata da sola. Da questo ed altri esempi io direi che si sposano spesso per romanticismo e consuetudine senza gran convinzione, ma non vado oltre in questo discorso.
Li ha avuti quindi come colleghi nei mille mestieri che ha fatto per tirare su da sola i due figli, tra cui operaia e guida turistica.
Rosemarie è un po' severa nei suoi modi di fare e nei giudizi, e posso dirlo perché sta insegnando tedesco anche a me. È proprio tedesca, diremmo con un luogo comune. Ma è anche accogliente e molto ironica, io la aiuto a perfezionare l'italiano facendo conversazione e ci troviamo spesso a ridere insieme, quando le sue battute taglienti non riguardano me! dato che anch'io sono suscettibile.
In tedesco invece siamo ancora molto lontane dal fare delle battute, per ora posso solo dire dove vivo, cosa faccio e scrivere la lista della spesa (mit Tomaten, Käse und Rot Wein).

Che strano studiare tedesco in Francia, vero? non so ancora il francese perfettamente, anzi ho appena scoperto che pronuncio male proprio la erre che mi costa tanta fatica, ma ho colto l'occasione che si è presentata per caso quando ho aderito al SEL de Loire (dove SEL = Système d'Échange Local), una specie di banca del tempo.
Si tratta di un sistema di scambio di servizi il cui valore si misura unicamente tramite il tempo impiegato, in minuti. L'unità immaginaria di scambio che corrisponde ai minuti sono i grani di sale, "sel", da cui l'acronimo che dà il nome all'associazione.
Io do ragione a Rosemarie, vedo tratti comportamentali infantili e giocosi nella popolazione, come la passione per mascherarsi - non solo a Carnevale! (passione contagiosa... qui mi vedete con la mia amica Maria Grazia al ballo rinascimentale nella bellissima Salle des Fêtes del Comune).
Forse italiani e tedeschi stanno diventando troppo seri?!?

E con la loro lingua i francesi giocano come con la plastilina. L'Académie Française ci prova a bacchettarli e ad imporre delle regole di scrittura, l'ortografia è importantissima a scuola ma molto difficile da imparare e resta un problema diffuso che non si risolve quasi mai con la fine del percorso di studi. Molti escono da scuola senza saper scrivere correttamente, e forse non è tutta colpa loro: a questo proposito ho una teoria.
Il francese è pieno, pienissimo, di omofoni, parole con lo stesso suono e significato diverso. Per una larga parte di francesi adulti (ne sono esempio anche molti miei colleghi) che direi essere più della metà, la differenza tra l'infinito e il participio passato di un verbo regolare del primo gruppo è vaga, dato che anche se si scrivono diversamente si pronunciano allo stesso modo: parler (infinito), parlé (participio).
Ormai mi sono abituata all'errore ortografico/sintattico di inversione delle due parole, anche al lavoro e anche da persone con un certo livello di formazione. Nella maggior parte dei casi è l'infinito a prendere il posto del participio: "j'ai parler beaucoup". Sarei curiosa di sapere quali meccanismi (il)logici e sintattici nel ragionamento di chi parla giustificano questi errori, dato che con i verbi irregolari, dove infinito e participio hanno un suono diverso, non si fanno errori. Chi sbaglia insomma parla ad orecchio, non legge moltissimo o lo fa senza attenzione, ma purtroppo anche sulla carta stampata si possono trovare questi errori.
All'inizio mi scandalizzavo ma ora tollero tutto, anche cose peggiori come "c'est tout" (è tutto) che diventa "sait tout" (sa tutto), sempre per un caso di omofonia che potrebbe essere anche peggio perché con la stessa pronuncia esistono anche ces (questi), ses (suoi), sais (so). L'italiano, che quasi sempre come si legge si scrive, è molto più facile da gestire.
Il mio amico Frédéric racconta spesso che il francese è diventato difficile a scrivere quando secoli fa un gruppo di aristocratici ha deciso di imporre delle regole di scrittura per confinare la lingua all'interno di un'élite, escludendo il popolo dalla comprensione della lingua scritta e quindi dal potere. Non ne so di più, e non so come si scrivesse prima, ma sarebbe interessante approfondire. È comunque evidente che c'erano buoni motivi per fare la rivoluzione.
Nonostante una lingua così problematica, e nonostante il loro amore per le regole, i francesi sembrano reagire con molta nonchalance ai suoi tranelli, amano anzi i giochi di parole che ne conseguono e la mantengono viva con parole nuove, storpiate, accorciate.
Perché il naso (nez) si chiama anche pif? e il vino (vin) pinard? e l'acqua (eau) flotte? e il denaro (argent) sous, fric, oseille, tune? Lionel da dietro le quinte mi suggerisce anche flouze, liquide, maille. Queste parole non sono dialettali, ma fanno parte del francese parlato correntemente, con sfumature più o meno familiari.
Senza parlare del verlan, un argot in cui le parole si spezzano e se ne invertono le sillabe: père, padre, diventa "reup"; femme, donna, diventa "meuf"; lourd, pesante, diventa "relou".
Capite perché dopo quasi due anni a pranzo con i colleghi non capisco niente?!?
Ma non è finita. I francesi usano abbreviazioni dappertutto, nel registro familiare come nel linguaggio tecnico e burocratico. Oltre al vélo, la bicicletta (vélocyped comunque non lo direbbe più nessuno) ecco una mini lista di nomi e aggettivi stesa al volo:
psy = psychologue (psicologo)
comm = communication (nel senso di messaggio)
pédé = pédéraste (omosessuale, volgare)
proprio = propriétaire (proprietario della casa in cui si vive in affitto)
perso = personnel (personale)
dispo = disponible (disponibile)
écolo = écologiste (ecologista)
intello = intellectuel (come categoria sociale)
ordi = ordinateur (computer)
matos = matériel (materiale che serve per un certo scopo)
resto = réstaurant
sono = sonorisation (impianto sonoro)
asso = association (associazione)
résa = réservation (ordine, prenotazione)
accro = accroché (molto appassionato, quasi dipendente)
prépa = préparation o préparatoire (vale in senso chimico e in senso scolastico: l'Ecole Prépa è quella che prepara per l'accesso alle tanto ammirate Grandes Ecole per diventare Ingénieurs e Fonctionnaires e fare brillanti carriere che qui spesso sono garantite dopo la conquista del pezzo di carta).

E gli acronimi? talmente diffusi e radicati che spesso il significato originale non si sa più, si usano molto anche nel lavoro e a Marsiglia in erasmus ne avevo già visti un bel po':
BD = bandes dessinées, fumetti
TP = travaux pratiques, esercitazioni a scuola
FH = acido fluoridrico!!! perché non lo chiamate HF che così la formula chimica è giusta?
VA = vitesse d'attaque, velocità di attacco cioè etch rate; spesso usato in modo improprio (perché i miei colleghi non pensano al significato originale) per indicare un test di qualifica di una macchina con misura di spessore
BU = bibliothèque universitaire
RU = restaurant universitaire
CDD, CDI = contrat a durée déterminée/indéterminée, sono i contratti di lavoro
PV = procès verbal, multa, (grazie ancora Lionel perché non sapevo cosa vuol dire), che si dice anche amende ma che si pronuncia come amande, mandorla.

Certo è raro trovare un vigile che dà una mandorla, ma poveracci, che casino capirsi.

mercoledì 14 giugno 2017

Momenti di trascurabile felicità

Sto attraversando la piazza delle Halles di Tours, vicino a casa.
14 giugno, ore 21.30 (i francesi scrivono sistematicamente 21h30), 26 gradi, il cielo è ancora chiaro e le rondini girano che è una meraviglia.
Sono uscita di casa un'ora fa per incontrare Antonio e Maria Grazia al Tourangeau, il bar centrale del mio quartiere. Ho consegnato a Maria Grazia il sacchetto di 3 kg di verdure bio (panier) dei Jardins du Contrats, dato che da oggi è diventata lei la mia socia di panier, al posto di Frédéric. Con Antonio ci siamo scambiati un po' di informazioni sulla dichiarazione dei redditi: dobbiamo pagare le tasse per la prima volta in Francia e siamo in ritardo. Siamo d'accordo per andare ancora una volta al Centre des Impôts, che qui è il solito palazzone statale di uffici tipo alveare ma senza coda.
Piccole commissioni in chiusura di giornata. Ho pure buttato il vetro che si accumulava in cucina da qualche mese, sentendomi di avere un po' migliorato la situazione in casa.
Al bar una bella pinta di panaché (birra e limonata) mi ha sollevato i pensieri e la stanchezza, quattro chiacchiere con i miei amici e la piccola Bianca, la figlia bilingue di 8 anni della mia amica, che dice cose ingenue con l'accento francese e i dentini in fuori, mi hanno fatto ritrovare la voglia di perdere tempo insieme, dopo tanta efficienza. Il Festival aveva quasi azzerato il mio tempo libero negli ultimi mesi.
E ora, salutati i miei amici, facendo i 400 metri che separano casa dal Tourangeau, con gli stridii delle rondini - hirondelles - nelle orecchie, all'improvviso penso che sto proprio bene.
Sto dormendo poco e ancora non è arrivato il momento di fermarmi perché in questi giorni sto preparando la musica per la serata di tango di sabato prossimo - ebbene sì, ancora una volta DJ Serena! Eppure sto proprio bene.
Oggi ho promesso che andavo a dormire alle 21h30 per recuperare il sonno perduto, e invece come sempre ritardo, ma stasera voglio scrivere due righe qui e condividere con qualcuno, con voi, con te, questo momento di trascurabile felicità che anche tu hai sicuramente già vissuto in una forma simile a rondini, cielo azzurro tiepido e panaché.

Sto proprio bene qui e ora, è un'intuizione, non prevedo nulla per domani e per il prossimo minuto.

"I momenti di trascurabile felicità funzionano così: possono annidarsi ovunque, pronti a pioverti in testa e farti aprire gli occhi su qualcosa che fino a un attimo prima non avevi considerato"
da "Momenti di trascurabile felicità" di Francesco Piccolo.
Grazie Annalisa per questo regalo!



venerdì 14 aprile 2017

Tours'nTango




Ciao amiche e amici tangueri!

Forse non lo sapete ancora, ma dal 2 al 5 giugno ci sarà un festival di tango a Tours - proprio qui! - in cui sono coinvolta direttamente perché da quest'anno sono attiva nell'associazione.
E' un festival che si annuncia piccolino ma già abbastanza noto perché esiste da 10 anni: siamo alla quinta edizione dato si fa ogni due anni, si prevedono circa 400-500 persone. L'ambiente è molto conviviale, abbiamo deciso addirittura di usare la label "Open Role Friendly" per dare la possibilità agli invitanti ed invitati di sperimentare le gioie del ruolo opposto... diciamo che è una formula "liberi tutti" che soprattutto per noi ballerine è molto interessante! Ambiente internazionale perché il passaparola si è attivato, le case dei miei amici sono già piene di invitati per il festival, francesi e stranieri.
Tra parentesi mi sto occupando proprio io dell'organizzazione dell'ospitalità per chi cerca una sistemazione gratuita in casa dei ballerini di Tours. Sto mettendo insieme le disponibilità proprio in questo periodo. E... i miei amici italiani??? beh, siete i benvenuti e in casa mia avete la precedenza! qui si puo' stare comodi in 5 e un po' meno comodi in 7. Altrimenti c'è tutto il resto della banca dati che sto costruendo e alcuni alberghetti carini in centro città.
Allora: chi di voi verrebbe???

Il programma del festival è ricchissimo di eventi, con aperitivi e concerti in città. Per due sere avremo anche due sale indipendenti per ballare classico e alternativo. Tutto considerato, aggiungo che è un festival veramente low cost per i partecipanti: le milonghe e gli stage sono a pagamento come al solito, ma tutto il resto è gratuito e aperto a tutti, anche e soprattutto ai non ballerini, per far conoscere anche al resto della città questa bella passione che ci coinvolge. Per l'associazione il festival sarà un po' meno low cost, io spero solo che chiuderemo i conti in pari se no l'anno prossimo dovremo scervellarci ancora di più per far quadrare il bilancio.
Ma a questo penseremo dopo il 5 giugno, quel che è certo è che sarà molto divertente e io sinceramente NON VEDO L'ORA...
Vi dico già che è davvero da provare la milonga al piano attico della biblioteca comunale, con vista sulla Loira e sui tetti della città. Vi aspetto!