lunedì 25 luglio 2016

Integrazione in salsa francese

Frédéric me l'aveva detto diversi mesi fa, quando - appena conosciuto - gli raccontavo della piccola frustrazione di non aver ancora socializzato con i francesi, nemmeno con i colleghi. Non un aperitivo, non un invito a casa, non un numero di telefono. In fondo potrei fare pena a qualcuno, essendo arrivata qui da sola e senza conoscere nessuno. Invece no: tanti sorrisi e grande gentilezza, tanti complimenti all'Italia il "Paese del sole", e poi finito l'orario di lavoro i colleghi francesi tornano a casa loro. Grazie alla politica di sostegno alla famiglia, avere moglie, marito e figli è la regola e immagino che molti rientrino punto e basta; ma certamente talvolta dopo alcuni giri, perché qui a Tours vedo bar e ristoranti pieni, alla gente piace stare fuori.
Frédéric ad oggi resta l'unico francese che frequento. Poi c'è l'unica francese che frequento, Marjolaine, anche lei che come Frédéric e come vi ho già raccontato ha vissuto diversi anni all'estero.
Frédéric mesi fa mi diceva che è normale, in ambiente lavorativo, iniziare a socializzare con i colleghi dopo circa un anno. Per me era follia: un aperitivo lo si concede anche ad uno sconosciuto nemmeno troppo simpatico, ad un nuovo cliente, ad un collega appena arrivato. I bar sono pieni, ve lo giuro, e non sono tutti amici di vecchia data.
Come dicevo a Nicola - che sta affrontando l'integrazione in salsa belga - nonostante gli zero inviti, in questi mesi con i francesi ho continuato a fare l'italiana simpatica. Mi viene abbastanza spontaneo socializzare; al lavoro però è anche molto utile perché, come ad Agrate, ci sono mille funzioni diverse e per lavorare ho quotidianamente bisogno dell'appoggio di altre persone che mi aggiornano programmi, mi spiegano procedure, mi aggiustano le questioni burocratiche, mi approvano cambi di processo, partecipano alle mie riunioni. Avere buone relazioni è veramente molto utile e molto importante.

Mi stavo rassegnando a questa situazione, tanto a me mica mancano gli amici: italiani e spagnoli. Eppure un paio di mesi fa successe qualcosa.
Era un periodo che andavo in continuazione dal gruppo che gestisce Workstream perché dovevo fare una cosa complessa che non sapevo neanche spiegare. Per gli addetti ai lavori: assomigliava a creare un prodotto di zavorre con una maschera e altre operazioni tra cui la mia, la deposizione del rame, e con una route di riciclo per rimuovere il resist e il rame e ricominciare daccapo. Così complesso che anche sulla sintassi della frase di spiegazione ho dei dubbi! Inoltre la maschera da usare era uguale a quella usata dai lotti di produzione, ma non gestibile allo stesso modo perché qualcuno ha stabilito la regola per la quale le zavorre non possono avere le stesse operazioni dei lotti veri.... insomma, un macello.
Quindi io per un buon periodo sono andata nell'ufficio di Stéphane, Bruno, Dany, Eric e Alex quasi tutti i giorni per questo progetto. Ogni volta senza capire molto di quello che succedeva, ma ci dovevo essere.
Questo gruppo è abbastanza scherzaiolo al suo interno, da loro si percepisce un'atmosfera distesa. Solo tra me e Stéphane non la percepivo, dato che gli ho rotto le scatole taaante volte, e ho fatto taaanti errori con il suo TQManager - ottusa applicazione con cui pretendono di programmare i test sulle attrezzature invece di usare Workstream: dietro immagino ci sia un motivo storico che ancora non conosco.
Tra una cosa e l'altra, in una delle mie solite permanenze da loro ad osservare muta Bruno ("Brünó") che smanetta nello script del mio prodottino, tra loro esce un discorso che riguarda la pétanque, il gioco di bocce tipico francese, giocato tipicamente nei piazzali sterrati davanti alle mairie (i municipi) dei paesini, quando fa caldo, all'ombra dei platani. Questo è il ricordo che mi rimaneva dai miei giri in Provenza durante l'Erasmus.
La pétanque mi incuriosisce e inizio a fare domande, naturalmente senza smettere di fare l'italiana simpatica. Non so se un francese avrebbe mai osato autoinvitarsi come ho praticamente fatto io, dato che qui noto un grado di discrezione che sfiora il menefreghismo. Aperta parentesi, come venerdì scorso che David, collega delle scrivanie di fronte, pur vedendomi vagare per la Cafétéria in cerca di loro, dei miei colleghi che il venerdì mattina condividono un piccolo momento di convivialità mangiando pains au chocolat e che per la prima volta avevano cambiato posto facendomi perdere le loro tracce, se n'è stato zitto adducendo poi la scusa che pensava che li avessi visti, e che per rispetto verso di me non ha tirato un urlo per chiamarmi. Ma figuriamoci!! Non ha nemmeno mosso un piede per venirmi a chiamare mentre frustratissima andavo in ufficio a prendere il telefono aziendale con cui l’ho chiamato per sapere dove si trovavano!!! Vabbe'.
Chiusa parentesi, stavo dicendo che proprio per questa estrema discrezione con cui forse si simula - se si è timidi - o si dissimula l'indifferenza, forse un francese non si sarebbe permesso di autoinvitarsi alla successiva serata di pétanque dei colleghi. Be’, senza superare i limiti - spero - come sarebbe stato se mi fossi informata sul calendario di gioco, luoghi e orari, io mi sono solo fatta promettere che mi avrebbero inclusa nel gruppo di gioco della volta successiva. Era fine maggio.

Il tempo è passato e anche le mie vacanze, finché tra le prime mail che ricevo al mio rientro ne trovo una che si intitola "Perso". Oddio, chi o che cosa si è perso? Eh no, proprio niente: con l'abbreviazione di "Personnel" Stéphane voleva indicarmi che quella non era una mail di lavoro. Quando me ne sono accorta ho avuto quasi paura: è forse vietato comunicare con i colleghi di qualcosa che non sia lavorativo? Io avrei usato un titolo parlante come "Invitation à la prochaine pétanque"!
Ebbene sì, con quella mail dal titolo sibillino che faceva molto "top secret", ma anche un testo sintetico che mi ha aumentato l’ansia, Stéphane mi chiedeva se mi andava bene giovedì 28 luglio per la pétanque. Mancavano 10 giorni: ho risposto al volo di sì, l’ho segnato sulla mia agendina di Altreconomia e ho cancellato la mail per non lasciare tracce. A parte che fanno pause caffè allucinanti di mezz’ora e chiacchierano ovunque, questi francesi nel complesso sembrano più seri degli italiani. Quindi, meglio cancellare le prove.
Arriva il giorno fatidico: riesco ad uscire alle 17 con calma, Stéphane e Bruno mi aspettano nel parcheggio in shorts - si sono già cambiati per giocare - e ce ne andiamo verso il paesino di Monnaie dove ci troviamo con Jean-Marc, Sébastien e Sylvie. La pétanque può iniziare.
Qualsiasi posto va bene, non serve un terreno per forza regolare. Inoltre dopo ogni partita si sposta il campo in avanti di un pezzetto, come per fare una passeggiata, il terreno e le irregolarità cambiano sempre. Loro sono bravi, si vede che praticano da molto; è bello vedergli centrare le bocce con una mira perfetta - non tutti, ma davvero moltissimi tiri hanno fatto centro - sentirli fare strategie, prendersi in giro, appassionarsi, impegnarsi, giocare lealmente. Stiamo parlando di un gioco di bocce, d'accordo: ma pieno di regole e regoline che l'inquadrano come vale per qualsiasi attività francese.
I miei colleghi sono anche molto carini con me che non so ancora giocare; quando mi avvicino a fare un tiro sensato, cosa che certe volte accade solo grazie alla pendenza del terreno, mi sento dire "Celle-ci n'était pas mal", questa non era male, ben sapendo che nulla è intenzionale nei miei tiri - neanche la direzione certe volte  - sottintendendo che le precedenti giocate erano più discutibili. Ma è proprio così, ho giocato da schifo ed è normale; è così che si impara, sul campo. So che esistono corsi di pétanque, ma una disciplina così popolare bisogna impararla giocando.

Dopo tre partite siamo andati da Jean-Marc e Sylvie a fare una grigliata; dopo cena siamo ancora rimasti a bere vini vari con formaggi vari, e con il digestivo i ragazzi hanno anche provato a parlare italiano. Infine dopo il dessert (il formaggio È il dessert) Stéphane mi ha riportato a Tours, che venerdì si lavora.
Bella serata, mi riinviteranno? Io ho risposto di sì quando mi hanno chiesto se sarei tornata, vedremo.
Ancora non ho il numero di telefono di nessuno, ma forse non è nemmeno così necessario, dai.

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